Al suo arrivo a Torino, il 28 luglio 1925 per conto della Società delle Nazioni, il dottor Louis-Ferdinand Destouches, trentenne parigino di Courbevoie, borsista della Rockefeller Foundation, ha i nervi a pezzi. Sulle spalle sente il peso della fatica dei molti mesi vissuti in viaggio come medico epidemiologo della sezione igiene della giovane organizzazione internazionale per la pace; viaggi lunghi ed estenuanti tra il Canada, l’America Latina, l’Europa per studiare insieme a un gruppo di colleghi sudamericani le condizioni igienico sanitarie dei contadini, le pratiche contro la tubercolosi, la malaria, il tifo, la lebbra, per visitare laboratori, sanatori, scuole, università e anche – come è accaduto a Detroit e a Pittsburg, in quegli Stati Uniti che egli ama fin dall’infanzia – l’efficiente organizzazione sanitaria degli stabilimenti Ford e della compagnia Westinghouse.

Vorrebbe riposarsi almeno un po’ – e come lui anche la commissione medica che, arrivata con il treno da Lione, stancamente lo accompagna – prima di affrontare i 12 giorni di incontri istituzionali, conferenze, sopralluoghi programmati tra Torino, Ferrara, Ravenna, e poi la Capitale, l’Agro romano e l’Agro pontino al fine di verificare i metodi scelti dal governo fascista per combattere la malaria. Ad acuire la sua sofferenza ci sono peraltro i sintomi della dissenteria amebica che da 9 anni non gli dà pace; dai tempi del lungo soggiorno in Camerun come direttore di una piantagione di cacao.

In quel caldo martedì 28 luglio, mentre si appresta ad essere ricevuto con gli altri medici dal prefetto del Regno, Destouches non immagina quale clamore susciterà di lì a poco in Francia l’uscita del suo primo romanzo, Voyage au bout de la nuit (1932) che sceglierà di pubblicare con uno pseudonimo ripreso dal nome della nonna materna, Céline, né può prevedere ciò che lo travolgerà negli anni a seguire. Quel che sa per certo è che dal giugno 1924 non vive più nella cittadina bretone di Rennes, dove si era trasferito nel 1918 dopo le seconde nozze con Edith Follet e dove si era laureato nel ’24 con una tesi romanzata sulla vita e le opere del medico ungherese Philippe Ignace Semmelweis.

Ora abita da solo, come uno scapolo piacente, con il suo metro e ottanta se non più di altezza, i suoi occhi chiari e una bruciante passione per le ballerine, alla Pension Mathey in route de Florissant a Ginevra mentre Edith e la loro figlia Colette, di 4 anni, sono malinconicamente rimaste a Rennes, nell’inutile attesa del suo ritorno. Anche mercoledì 29 luglio è una giornata caldissima a Torino e il giovane dottore e i suoi colleghi vanno in visita alla grande fabbrica del chinino di Stato, un complesso costruito nel 1922 capace di produrre ogni anno ventimila tonnellate di chinino; poi, una volta terminata «l’ispezione», eccoli prepararsi a lasciare la città. Probabilmente non è stata del tutto inutile la lettera che Destouches ha scritto il 21 luglio precedente all’amico e collega Pantaleoni (Massimo?) in cui chiedeva di non sovraccaricare con troppi appuntamenti quei due giorni sabaudi. «Mi è sembrato che [i membri dello scambio] avessero veramente bisogno di un po’ di riposo, questo oltretutto, nell’interesse degli studi, ordunque voi sapete che vuol dire sbarcare immediatamente da un treno da parte di echangiste – si legge nella lettera autografa fornita dagli archivi ginevrini delle Nazioni Unite –, assolutamente privi di attenzione e immediatamente proiettati nel calore di un ricevimento al quale non risponderebbero che con una malcelata stanchezza. Temo questi momenti, da una parte e dall’altra, invece di avvicinarsi, si prendono le distanze, si è diffidenti, e lo scambio comincia nella fatica e finisce nell’ostilità quasi confessata». Una lettera in cui il futuro scrittore, rallegrandosi quasi per l’imminente fine del lunghissimo viaggio, aveva confidato inoltre: «Sento i nervi a pezzi e vorrei evitare l’incidente».

Giovedì 30 luglio la delegazione è a Ferrara, dove visita le opere di bonifica idraulica, il giorno seguente li attende la conferenza di Donato Ottolenghi, professore dell’università di Bologna; l’1 e il 2 agosto sono a Ravenna dove, anche qui, assistono ai lavori di risanamento ma poi, come annota lo stesso Destouches, «nonostante le mie opinioni [gli organizzatori] si sono intestarditi a partire alle 6 del mattino e a compiere delle inutili passeggiate alle nove di sera attraverso monti e valli». Il 3 li troviamo a Roma: nel pomeriggio, dopo il rinfresco offerto dalla Direzione generale della Sanità Pubblica, vengono ricevuti dal capo del governo, Benito Mussolini, il quale anni dopo recensirà il Voyage; martedì 4 partono presto per Nettuno dove visitano la scuola di malariologia diretta da Bartolomeo Gosio, quindi il centro diagnostico della Croce Rossa alle Ferriere, la scuola con servizio antimalarico di Tre Cancelli per finire con una colazione ad Anzio e una capatina al sanatorio militare. Il 5 la comitiva, sempre più esausta, è a Velletri per presenziare al corso pratico di profilassi riservato alle maestre delle scuole rurali nelle zone malariche; quindi si spinge fino alle zone delle paludi pontine per «ammirare» i giganteschi lavori della bonifica integrale, vanto del regime. Il giorno seguente il gruppetto è ad Ostia, il 7 a Fiumicino e al Lago di Traiano e infine l’8 agosto, ultimo giorno di missione, viene condotto alla colonia agricola per bambini malarici di Grottaferrata.

L’impressione che questo viaggio suscita in Louis-Ferdinand è pessima: egli la riporta, anticipando in un certo modo quello stile che lo renderà celebre, in un altro documento proveniente dagli archivi svizzeri_ “L’Italia nelle peggiori condizioni – la nostra capacità di ammirazione è diminuita da sei mesi di sightseeing – caldo sahariano – Nei brevi momenti di lucidità vedo cose meravigliose, altrettante gioie a cui ho scelto di rinunciare, dopo tante altre, ahimè!, ogni giorno più numerose», scrive, immerso nelle comodità dell’Hotel Excelsior a Roma.

Monica Zornetta, AVVENIRE 2 novembre 2015

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