Aveva 88 anni. La morte nella sua abitazione torinese. La dura analisi contro il lavoro precario e la globalizzazione. Il ricordo di Fassino e di Chiamparino. Chiara Saraceno: “Il suo era un pessimismo lucido”.

È morto a 88 anni, nella sua abitazione torinese, Luciano Gallino, sociologo, docente universitario e  collaboratore di Repubblica.  Recentemente aveva subito alcuni interventi chirurgici che aveva superato. Considerato  tra i sociologi italiani più autorevoli, i suoi studi si sono indirizzati sulla sociologia dei processi economici all’interno del mercato del lavoro, di cui era uno degli analisti più attenti. Negli ultimi tempi aveva dedicato molta attenzione alle recenti trasformazioni dell’occupazione, in particolare al precariato che aveva analizzato nel libro “Vite rinviate, lo scandalo del lavoro precario”. 

La sua formazione era cominciata nella seconda metà degli anni Cinquanta all’Olivetti di Ivrea dove nel 1956 l’ingegnere Adriano Olivetti lo aveva chiamato a collaborare all’Ufficio Studi Relazioni Sociali: vi rimase fino al ‘71, collaborando anche con Paolo Volponi. Successivamente andò a studiare negli Stati Uniti e dal ‘71 al 2002 insegnò sociologia all’Università di Torino. E’ stato presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali, dal 1979 al 1988, e dell’Associazione Italiana di Sociologia, dal 1987 al 1992. Era socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia Europea e dell’Accademia Nazionale dei Lincei e ha diretto la rivista scientifica Quaderni di Sociologia. Numerose le sue pubblicazioni, ultima delle quali “Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti” per Einaudi.

Tra i tanti temi studiati da Gallino c’era quello della globalizzazione, su cui aveva maturato analisi particolari. “”l tracollo finanziario di questi anni – scriveva nel libro dal titolo provocatorio “il colpo di Stato di banche e governi”- non è dovuto a un incidente del sistema: né tantomeno al debito pubblico che gli Stati avrebbero accumulato per sostenere una spesa sociale eccessiva. È il risultato dell’accumulazione finanziaria perseguita ad ogni costo per reagire alla stagnazione economica di fine secolo. È indispensabile riportare la finanza al servizio dell’economia reale, anzitutto creando occupazione: senza lavoro non c’è crescita. Non vale, invece, il contrario”.

Sempre attento a far emergere il valore sociale del lavoro, spiegava: “Negli ultimi anni è cambiata la concezione stessa dell’impresa” diceva.  Le imprese sono condizionate  dalla presenza del patrimonio dei fondi comuni di investimento, fondi pensione, compagnie di assicurazione tesi a perseguire un unico scopo, far rendere al massimo i capitali loro affidati. Se un’impresa consegue profitti del 10 per cento – poniamo – e gli investitori pretendono che essi salgano al 15 a brevissimo termine è evidente che aumentare l’investimento in ricerca, tentare nuove strategie commerciali, espandersi in nuovi paesi, diventano pratiche irreali. Si procede invece al riacquisto di azioni proprie, a qualche sorta di fusione, spesso con un massiccio ricorso al debito, al licenziamento di alcune centinaia o migliaia di dipendenti”.

La sociologa Chiara Saraceno lo ricorda così: “Un giorno gli ho chiesto ‘com’è che adesso piaci così tanto alla sinistra?’. Lui ha risposto con un sorriso: ‘Io sono sempre lo stesso, è il mondo che è cambiato e mi sta dando ragione’. Saraceno rende omaggio al suo rigore , a quella  voglia di studiare il lavoro  e la società italiana fino all’ultimo giorno. Fino all’ultimo libro: “Io non sono stata sua allieva perché non ho studiato a Torino, ma è stato una figura importantissima della sociologia italiana e io per lui ho sempre nutrito grande stima e ammirazione, soprattutto negli ultimi anni. Il suo pessimismo era forse peggiore del mio, ma lucidissimo. Si poteva anche non essere d’accordo con il suo pessimismo così radicale, ma certo sarebbe stato difficile contestare l’analisi”.

Il cordoglio.  “Un acuto osservatore del mondo del lavoro, un maestro della sociologia moderna, uno studioso lucido e penetrante della società industriale, a cui si è dedicato per anni con passione civile e rigore accademico. Un maestro”. Così il sindaco di Torino, Piero Fassino, esprime il cordoglio dell’Amministrazione e suo personale per la scomparsa di Gallino. “La scomparsa del professor Luciano Gallino ci priva di una delle voci più attente e critiche riguardo alle trasformazioni sociali ed economiche del nostro Paese negli ultimi quarant’anni”. Così il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, che aggiunge: “Le sue analisi, soprattutto le più recenti, non hanno mancato di evidenziare le contraddizioni di un sistema economico legato alla finanza – sottolinea Chiamparino – e sempre meno attento al valore sociale del lavoro”.

Nichi Vendola , presidente di Sel, lo ricorda così: “Addio a Luciano Gallino, uomo libero e intellettuale rigoroso. Al centro del suo impegno ci fu sempre la dignità del lavoro e la giustizia sociale. In tempi di insopportabile conformismo la sua voce e i suoi scritti furono sempre lucidamente controcorrente”. Anche l’Università si unisce al cordoglio: “Gallino lascia nella cultura italiana un vuoto certamente incolmabile. Con questa consapevolezza, l’Ateneo raccoglie il testimone per un’attività improntata a quell’impegno scientifico e civile, a quello spirito critico e particolarmente innovativo che ne hanno sempre distinto l’opera”.

LA REPUBBLICA,  8 novembre 2015

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