Cade oggi il primo anniversario dell’azione terroristica contro la redazione di Charlie Hebdo a Parigi. Tra le molte voci si leva quella del filosofo Alain Finkielkraut, la cui intervista è apparsa su ‘Le Figaro’ (oggi tradotta e proposta da ‘La  Repubblica’).

“Gli attentati di gennaio – dice Finkielkraut – hanno chiuso la parentesi incantata della post-Storia. La festa è finita di fronte a un nemico temibile, la Repubblica è tornata a essere la cosa comune e la Francia una patria amata. Ma mentre il popolo scendeva in piazza, gli abitanti di quelli che la ‘neolingua’ chiama ‘quartieri popolari’ rimanevano a casa. Non avevano alcuna intenzione di brandire la matita della libertà di espressione. Charlie aveva insultato il Profeta”. Questo, sottolinea, è il paradosso della grande manifestazione svoltasi pochi giorni dopo nella capitale francese. Un “momento commovente di unità nazionale”, che avrebbe rivelato “la spaventosa realtà della spaccatura francese”.

Dopo i tragici fatti di novembre, il presidente francese Hollande aveva proclamato lo stato d’emergenza e promesso una serie di misure repressive, tra cui la ‘decadenza della nazionalità’, ovvero il ritiro del passaporto a “condannati in via definitiva per crimini terroristici, nel caso abbiano la doppia nazionalità”. Una misura ad hoc per le nuove generazioni di immigrati che si gettano nella jihad. Ma il presidente non immaginava il putiferio che avrebbe scatenato. E che sta ormai attanagliando la sinistra, ma anche la destra, in un dibattito senza fine.

(com.unica, 7 gennaio 2016)

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