Sulla stampa italiana e internazionale si cerca ancora di analizzare quanto avvenuto nella notte di Capodanno a Colonia, dove decine di donne sono state aggredite e molestate sessualmente nei pressi della stazione, nel centro della città. 

Sulla “Stampa” di oggi interviene il nuovo direttore Maurizio Molinari, fino a pochi giorni fa inviato per lo stesso giornale a Gerusalemme e autore di un libro di recente pubblicazione dal titolo Jihad, guerra all’Occidente, che dà di quanto accaduto un’interpretazione molto interessante, frutto di una conoscenza profonda del fenomeno migratorio legato all’implosione degli Stati arabi in Nordafrica e Medio Oriente. “Il domino di disintegrazione di queste nazioni fa riemergere tribù e clan come elementi di aggregazione, esaltando forme primordiali di violenza – scrive Molinari. “Le tribù sono protagoniste del deserto dall’antichità e dai loro costumi ancestrali si originano il chador per le donne, la decapitazione dei nemici, la vendetta come proiezione di forza, il saccheggio per arricchirsi, la poligamia e il potere assoluto degli uomini sulle donne”.

“È il declino del nazionalismo arabo – prosegue il direttore della Stampa – che spinge individui e famiglie a ritrovare nelle origini tribali la propria identità. È un processo di portata storica, che accelera, con conseguenze imprevedibili in Nordafrica e Medio Oriente. Gli Stati arabi-musulmani sono le prime vittime di questo processo: lacerati da un confronto interno fra modernità e tribalismo che è un conflitto di civiltà. L’Europa ne è investita a causa delle migrazioni di massa verso la sponda Nord del Mediterraneo. Fra chi arriva vi sono portatori di usi e costumi che si originano dalle lotte ataviche per pozzi d’acqua, donne e bestiame. Le conseguenze sono nelle cronache di questi giorni: dagli abusi di massa a Colonia al grido di «Allah hu-Akbar» per intimorire il prossimo a Brescia e Vignola. Non si tratta della maggioranza degli immigrati ma di una minoranza in grado di scuotere la sicurezza collettiva. Da qui la necessità di una rigida applicazione della legge, grazie ad un’intesa fra cittadini e forze dell’ordine, per difendere l’Europa dal ritorno delle tribù”.

 

Sul “Corriere della Sera” da segnalare l’intervento della filosofa e femminista Élisabeth Badinter, che in un’intervista polemizza con coloro che cercano di minimizzare quanto accaduto: «Succede anche in Francia – afferma – dove i giornali spesso sono molto timidi e pieni di premure. Non si dicono i nomi quando i sospettati sono arabo-musulmani, si fa molta attenzione a non suscitare le reazioni violente e a non incoraggiare il razzismo e l’esclusione. In nome di questo principio morale, che è a fin di bene, si finisce per camuffare la verità». La sua posizione è molto chiara ed è all’insegna dei principi di laicità, per questo – dice “non si deve aver timore di essere trattati da islamofobi”. Così come non si deve aver paura di mettere in discussione l’integrazione dei nuovi immigrati nella società europea come è stata attuata fino ad oggi. “In Francia – continua la Badinter – è evidente che l’integrazione è perfettamente possibile per gli arabo-musulmani come per tutti gli altri, nel momento in cui adottano i valori del Paese in cui vivono. Il problema è che i nuovi arrivati più fragili o meno istruiti cadono preda dei salafiti che predicano la separazione tra le comunità. Come quell’imam che a Brest spiega ai bambini che la musica è opera del demonio. Dovremmo sbarazzarci di predicatori islamici che vogliono tornare a una visione del rapporto tra uomo e donna vecchia di secoli. Alcune forze spingono a rifiutare i valori dei Paesi di accoglienza, e questi sono i risultati”.

(com.unica, 10 gennaio 2016)

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