Quel Pascoli inedito frequentatore di bordelli
Un Pascoli “inedito” frequentatore di case chiuse spunta dalle lettere ai famigliari raccolte nel libro ‘Pascoli Innamorato’.
La vita sentimentale del Poeta di San Mauro’ pubblicato da Rosita Boschetti. La vita sentimentale del Poeta di San Mauro” pubblicato da Rosita Boschetti, responsabile del Museo dedicato a una delle più importanti figure della letteratura italiana a cavallo fra ‘800 e ‘900. Un Pascoli calato nella realtà più profonda del Mezzogiorno la Lucania, Matera . Un poeta legato alla famiglia e alle… “necessità”. Quella, per esempio, evidenziata al fratello Raffaele in una missiva scritta tra il 1882 e il 1884, quando insegnava, fresco di laurea, latino e greco presso il liceo statale “Duni” di Matera. Nell’elenco di spese per vivere nella città dei Sassi spiccano: “65 lire al mese per mangiare, 25 per dormire, 7 alla serva, 2 al casino (necessità), 15 in libri (più che necessità)”. “Necessità” erano gli incontri amorosi nei bordelli: “All’epoca era legale spiega Rosita Boschetti soprattutto tra i giovani come lui, ma la novità sta nel fatto che viene totalmente spazzata via l’idea che Pascoli fosse morbosamente legato alle sorelle“ tanto da non avere una propria vita sentimentale come inizialmente si pensava sulla base della biografia scritta proprio dalla sorella del poeta, Maria: “Lungo la vita di Giovanni Pascoli”. “Il suo più grande rimpianto fu proprio quello di non aver avuto figli” sottolinea Rosita Boschetti citando ancora il suo libro. Sulla città dei Sassi Pascoli era assai duro nel giudizio, malgrado trovasse quei “luoghi … notturnamente, sinistramente belli”. Ironia della sorte, le parole del poeta si soffermano su aspetti oggi addirittura paradossali, ricordando che Matera sarà capitale europea della cultura nel 2019.
Scriveva il 5 ottobre 1883 in una lettera indirizzata a Giosuè Carducci: “Non c’è un libro qua, da vent’anni che c’è un Liceo a Matera, nessuno v’è uscito con tanta cultura da sentire il bisogno d’un qualche libro”. La biografia scritta da Rosita Boschetti nasce da una mostra di Casa Pascoli, allestita nel 2013, e dedicata agli “Amori di Zvanì”. Zvanì, Giovannino, il nomignolo romagnolo di Pascoli che gli ricordava la madre quando, con un soffio di voce, in fin di vita, lo chiamava.
Il carteggio, in parte raccolto nel libro, era conservato nel fondo pascoliniano dell’archivio della Scuola Superiore Normale di Pisa e mette in evidenza non solo la frequentazione dei casini di Matera, ma anche un grande amore avuto nel periodo di insegnamento al sud. In particolare a Messina, il poeta si innamorò di una sua allieva, Giovanna Marcianti. Un amore (probabilmente solo platonico) rimasto segreto per non far scandalo data la differenza d’età (lei era più giovane di vent’anni). Chissà se, come qualcuno sostiene, i versi della Tessitrice: “Piango, e le dico: Come ho potuto, /dolce mio bene, partir da te? /Piange, e mi dice d’un cenno muto:/Come hai potuto?” non siano riconducibili al giovane amore messinese e a una specie di addio al sud.
Insomma, l’immagine riportata finora dalle antologie scolastiche (come dice Boschetti) del Pascoli tutto casa e sorella (Maria detta Mariù a lui morbosamente legata tanto da essere vestale della sua memoria) viene stravolta con un’altra più autentica di un uomo che, nonostante il dolore e le inquietudini, non era distante dalla realtà e anzi tenesse le sorelle lontane dalla sua sfera affettiva e dalle sue “necessità” negli anni di permanenza nell’Italia meridionale. “Abbiamo cercato tutti gli aspetti più inediti sia raccontati che trascritti in riviste e quotidiani dell’epoca o in libri di vecchie edizioni, ed è venuto fuori un mondo sommerso riguardo la vita sentimentale di Pascoli, la vita autentica rispetto a quella che ci è stata tramandata” racconta la responsabile del museo Pascoli Rosita Boschetti. Particolari inediti, soprattutto di Matera che Pascoli, in una lettera avrebbe successivamente descritto, in tono più affettuoso, come la città “che mi sorride di più, quella che vedo meglio ancora, attraverso un velo di poesia e di malinconia”.
Emanuela Carucci, IL GIORNALE, 8 gennaio 2016