I problemi generati dall’attuale “crisi migratoria”, esacerbati dal panico sulle migrazioni, appartengono alla categoria delle questioni più complesse e controverse: in essi, infatti, l’imperativo categorico e morale si scontra con la paura del “grande sconosciuto” impersonato dalle masse di stranieri che troviamo alle nostre porte. La paura impulsiva stimolata dalla vista di persone “aliene” che porterebbero con sé imperscrutabili pericoli entra in competizione con l’impulso morale causato dalla vista della miseria umana. Quasi in nessun altro caso potrebbe risultare più grande la sfida al tentativo morale di persuadere la volontà a seguire il suo imperativo; e raramente potrebbe essere più lacerante il compito della volontà che cerca di chiudere le orecchie a questo imperativo morale. Tutti noi saremmo potuti essere arruolati in un momento o in un altro, o contemporaneamente, nei diversi ruoli di questo combattimento: “campo di battaglia”, “soldato” o “cannone”. E alcuni di noi potrebbero perciò esser tentati dalla “grande semplificazione” offerta dal web.

Lì, in questo rifugio, uno viene salvato dall’inevitabilità di confrontarsi con l’avversario faccia a faccia. Uno potrebbe imbattersi nella trappola della menzogna conflittuale e che intacca il rispetto di sé col semplice espediente di chiudere gli occhi di fronte alla presenza dell’avversario, arrivando anche a chiudere le orecchie ai suoi argomenti. Entrambi questi due aspetti sono facilmente visibili online, mentre non lo sono per niente nel mondo reale. In maniera prevedibile è quello che hanno riscontrato alcuni ricercatori in molti utenti di internet, avendoli studiati per spiegare quali siano le funzioni della Rete nella difesa di se stessi rispetto al vedere e all’udire quello che accade sul campo di battaglia.

Nella “zona di sicurezza” delimitata da questa scelta sono ammesse solamente persone che la pensano allo stesso modo, mentre a quelli del campo avverso viene impedito l’ingresso. Basta poco, in termini di decisione e coerenza, per schiacciare il tasto “cancella” del computer ed eliminare la controversia e i suoi protagonisti dalla memoria digitale. Dal momento che il mettere in discussione qualcosa comporta il rischio di essere smentiti, e quindi si ritiene più conveniente evitare il dibattito, ecco che l’eliminazione della necessità di discutere l’importanza e la gravità degli imperativi morali si presenta come un sollievo: «Diventare moralmente ciechi e sordi ora basterà, grazie…». Con questa moralità resa cieca e sorda, non c’è da stupirsi che «milioni di americani – come è stato dimostrato in un recente studio pubblicato dalla “National Academy of Science” –, «credano che le loro posizioni siano fondamentalmente filantropiche mentre gli altri siano il male da combattere».

Donald Trump, di gran lunga il più popolare tra i candidati repubblicani per la presidenza degli Stati Uniti, e che ha già una lunga e crescente storia di odio razziale e religioso, grazie alla tipica invettiva “noi contro loro” e al rifiuto di dissociarsi dai discorsi pieni di odio di alcuni suoi sostenitori, è stato individuato come «il candidato perfetto per la nostra epoca virale» da Emma Roller, editorialista del “New York Times” (29 dicembre 2015).

Perché questo? Come ha scoperto uno psicologo dell’Università delle Hawaii, i momenti virali più ricorrenti sono quelli che «provengono direttamente dall’inconscio» – mentre «l’odio, la paura dell’altro, la rabbia» provengono direttamente dal fondo pulsionale. I soggetti solitari di fronte a un cellulare, allo schermo di un tablet o di un computer portatile, che hanno solamente altre persone “virali” con cui confrontarsi, sembrano mettere a dormire la ragione e la moralità lsciando senza guinzaglio le emozioni che normalmente vengono controllate.

Ovviamente, internet non è la causa del crescente numero di internauti moralmente ciechi e sordi; ma esso facilita e alimenta in maniera notevole questa crescita. La prima reazione di fronte all’altro tende perciò a essere di vigilanza e di sospetto, un momento di indefinita ansietà, un impulso a cercare un’ancora di salvezza, che è causa di ulteriore nervosismo proprio perché è indefinita. E durante questo processo il rispetto degli imperativi morali è sospeso.

Zygmunt Bauman/AVVENIRE 28 gennaio 2016

Traduzione di Lorenzo Fazzini e Chiara Brivio

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