Mediterraneo, il nostro bivio tra affari e ideali
Da sempre la politica estera Usa è divisa tra due scuole, gli «Idealisti», legati al presidente Wilson, contro i «Realisti» che hanno il loro campione nell’ex segretario di Stato Kissinger. Gli Idealisti credono che l’America debba affermare ovunque i suoi valori, i Realisti, scettici, preferiscono difendere gli interessi nazionali.
Dilemma antico, se è vero che Atene, presunta madre della democrazia, ai poveri isolani di Melo che rivendicano il valore della neutralità, riserba guerra e deportazione.
Torniamo ad affrontare quel bivio remoto, con le missioni del primo ministro Matteo Renzi a Teheran, dove ha incontrato il presidente riformista iraniano Hassan Rohani, e del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a Tripoli, primo leader ricevuto dal premier libico Fayez al-Sarraj, dopo il rocambolesco sbarco del governo nella capitale. L’Italia deve limitarsi a sponsorizzare economia ed interessi nel Mediterraneo, come proporrebbero i Realisti alla Kissinger, o spingere perché gli ayatollah pongano fine alle esecuzioni, smorzino la propaganda anti Israele, concedano libertà a donne e dissidenti secondo la scuola di Wilson? In Libia e Iran, dopo le colonie e il coraggio di Enrico Mattei, dobbiamo parlare di pace, diritti, lotta al terrorismo o solo di affari?
Durante la Guerra Fredda il nostro Paese aveva poca voce nel Mediterraneo e nessuna nel mondo, i governi si limitavano a piccoli cabotaggi, raccattando qualche contratto da regimi poco raccomandabili. Ora siamo nel G8, fondatori dell’Ue, membri autorevoli di Onu e Nato e l’impegno formidabile delle nostre forze armate nei contingenti multinazionali di pace, da poco anche in Iraq, sostenuto da una nuova generazione di diplomatici, dai cognomi meno altisonanti di un tempo ma assai preparati, ci ridà protagonismo.
Al seguito di Renzi in Iran c’erano i capi di importanti aziende, De Scalzi di Eni, Cao di Saipem, Castellano della Sace, Nagel per Mediobanca, Mazzoncini Fs e Benedetti della Danieli, le sanzioni sono cadute dopo il patto di Rohani con il presidente Obama sul nucleare, il Paese vuol rinnovare infrastrutture decrepite e ritrova accesso ad asset congelati nelle banche. L’Italia non cresce da una generazione e ha sete di lavoro, ma per ottenerlo non c’è motivo di abdicare ai valori della nostra Costituzione, che il tricolore difende, dal Libano all’Afghanistan con militari e civili. Perché la diatriba Realisti-Idealisti è superata nell’era dei social media e della e-diplomacy, dal costante lavorio tra vertice e base, accordi con i leader e consensi, o dissensi, in eco tra i cittadini. Considerate l’impegno che il governo Renzi ha messo, fino a richiamare l’ambasciatore italiano dal Cairo, sul caso del giovane studioso Regeni, torturato e ucciso in Egitto. L’Italia ha con il regime del generale al Sisi grandi prospettive di cooperazione, anche per lo sfruttamento di giganteschi giacimenti di idrocarburi, ma cercare giustizia, per arduo che possa rivelarsi infine, non solo non ci ha reso impopolari in Egitto ma anzi, malgrado le censure, ha fatto sì che tanti ragazzi ci guardino con ammirazione dal web.
Il mondo non è più, per noi italiani, mediocre bazar dove svendere merci, ma forum severo del nostro animo, di chi noi siamo davvero. I partner europei, dalla Germania alla Francia, detestano gli esami di coscienza e siglano, sereni, contratti con i peggiori regimi. Difficile far da soli le anime belle, ma anche pretendere di «fare i furbi, all’italiana» non pagherebbe. L’insediamento del governo di al Sarraj, spinto da Roma nel disinteresse cronico di Washington, è solo un piccolo, trepido, passo in un Paese lacerato da tribù ostili, miliziani Isis, interessi di potenze. Contiamo in Libia non già per il passato, ma per il presente, per quel che proviamo a fare. Non siamo stati convocati tra i Paesi che hanno trattato con l’Iran, malgrado il presidente G. W. Bush ci volesse, anche per il boicottaggio poco rispettoso di presunti alleati.
Chiave decisiva è recuperare status, è agire insieme, sugli interessi e sui valori. Se invece l’opposizione depreca le intese di Teheran e Tripoli perché Renzi e Gentiloni sono di «sinistra», come una certa «sinistra» mina i contingenti di pace all’estero, considerati «di destra», se prevale l’ancestrale spirito fazioso, non firmeremo contratti né affermeremo ideali, restando la solita Italietta. Abbiamo due casi aperti, la disputa con l’India sui sottufficiali di Marina Latorre e Girone e l’inchiesta Regeni in Egitto. Saremo credibili se India ed Egitto sentiranno che, quando si tratta di cittadini italiani, siamo uniti.
Nel 1983, il pilota americano Goodman fu abbattuto con il suo caccia sul Libano e tradotto prigioniero in Siria. Il reverendo afroamericano Jesse Jackson, rivale acerrimo del presidente Reagan, andò personalmente in missione dal dittatore Assad padre, ottenendo il rilascio dell’ostaggio. Reagan, felice, li accolse entrambi alla Casa Bianca. Interessi, ideali, difesa dei cittadini possono conciliarsi, a patto che l’Italia, finalmente, maturi.
(Gianni Riotta, La Stampa 13 aprile 2016)