Quattro secoli fa moriva il grande drammaturgo. La svolta della sua carriera? I mesi in cui produsse tre capolavori assoluti come “Re Lear”, “Macbeth” e “Antonio e Cleopatra”.

Il mondo intero è un palcoscenico, quest’anno, per il quarto centenario della morte di William Shakespeare. Celebrazioni di ogni genere commemorano ovunque la sua opera e la sua figura. Nel 1613 aveva lasciato il teatro e si era ritirato a StratforduponAvon dove si spense il 23 aprile 1616. Quando fu sepolto, due giorni dopo nella chiesa della Trinità, il suo nome era soltanto ammirato come una delle stelle della galassia letteraria nel firmamento del teatro. E quando nel 1660, con la restaurazione della monarchia, riaprirono i teatri chiusi vent’anni prima dai puritani, furono le commedie di Ben Jonson a essere più spesso allestite, assieme alle eleganti creazioni di Francis Beaumont e Fletcher che più incontravano il gusto dell’aristocrazia.

Il genio di Shakespeare fu recuperato nel XVIII secolo grazie alle appassionate esaltazioni di Garrick e Samuel Johnson, e si afferma in seguito ai cambiamenti politici e ai gusti nuovi, alla nascita del movimento romantico.

Oggi, nonostante continui a imperversare in Inghilterra e altrove la controversia su chi fosse in realtà il Bardo, chi lo scrittore di tanta opera sempre viva, questo anniversario lancia una tregua con una miriade di iniziative culturali ed editoriali che si abbandonano al fascino e alla suggestione infiniti di quello che non sappiamo dell’uomo, per dirla con Oscar Wilde. Mentre grande attesa circonda la nuova biografia su Shakespeare di Boris Johnson annunciata dalla casa editrice Hodder & Stoughton per il prossimo autunno, la Cambridge University Press pubblica, dopo otto anni di lavoro, il primo studio internazionale e interdisciplinare, The Cambridge Guide to the Worlds of Shakespeare, in due volumi suddivisi dal 1500 al 1660 e dal 1660 a oggi, con contributi dei maggiori studiosi dal Nord America al Brasile, dalla Scozia al Giappone.

Sempre per i tipi della Cambridge University Press l’emerito studioso shakesperiano Stanley Wells propone l’affascinante scavo biografico The Shakespeare Circle. An Alternative Biography, per gettare nuova luce sull’uomo di Stratford cercando di recuperare elementi perduti nella vita e nei ricordi dei parenti, degli amici e dei rivali, di attori, collaboratori e mecenati fra i quali spiccano le figure chiave di Richard Burbage, Ben Jonson, Thomas Middleton.

Il tempo e le intemperie nelle opere di Shakespeare, la complessità etica ed estetica delle tempeste che non sono mai semplici tempeste, sono oggetto dello studio di Gwilyn Jones in Shakespeare Storms (Manchester University Press, pagg. 224, sterline 70) che analizza burrasche, tuoni e fulmini nell’esperienza dei personaggi. Il tempo e i fortunali subiti e interpretati dall’uomo, da Otello. Il racconto d’inverno, Re Lear, Macbeth lo specchio doppio in cui il tempo riflette il personaggio e viceversa. Se è Lear stesso a darci in maniera simbolica la portata della tempesta («soffiate, venti, squarciatevi le guance! Infuriate, soffiate, voi cateratte e uragani…», l’interpretazione dell’ira del tempo da parte di Calpurnia, che vede nei tuoni e fulmini il presagio del fato del marito, è centrale nel Giulio Cesare: «Non si vedono comete quando muoiono poveri mendichi/ I cieli stessi annunciano col fuoco la morte dei potenti». Attenzione particolare merita il nuovo saggio storico-letterario di James Shapiro 1606 William Shakespeare and the Year of Lear (Faber & Faber, pagg. 420, sterline 20). Docente alla Columbia University e da mezzo secolo studioso del Bardo, già autore di Contested Will: Who Wrote Shakespeare? esamina il percorso del genio da drammaturgo elisabettiano negli ultimi anni di fermento e di declino del regno Tudor a drammaturgo giacobiano, dall’autore delle «History Plays» prettamente inglesi al creatore delle grandi tragedie di impronta britannica sotto l’influsso di Giacomo I, il quale propugnava l’unione fra Inghilterra e Scozia contro la resistenza generale. Il 1606 è presentato come l’anno della svolta per Shakespeare, l’anno in cui scrive Re Lear, Macbeth e Antonio e Cleopatra. Un anno di successo per il teatro, ma carico di tumulti politici e religiosi, anticipatori dell’ostilità puritana. Shakespeare, commenta Shapiro, così abile a capire il suo pubblico seppe con il suo lavoro scavare particolarmente a fondo nelle incrinature politiche e religiose che già venivano esposte negli ultimi anni di Elisabetta I, e sotto Giacomo I creare opere di inesauribile altezza e risonanza universale.

Aridea Fezzi Price, IL GIORNALE, 20 aprile 2016

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