L’Europa disegnata dall’islam deve cambiare per sopravvivere
Un’analisi di Robert Kaplan, politologo e saggista americano, per la “Stampa”. Nel VII secolo la religione divise il Mediterraneo, oggi l’immigrazione cancella i confini. Ma il nazionalismo sarebbe la fine, all’Occidente serve integrare senza negare se stesso.
Per secoli nell’antichità e agli albori del Medioevo, Europa significava il mondo attorno al Mediterraneo o Mare Nostrum, il nostro mare, come lo chiamavano i romani. Comprendeva naturalmente il Nord Africa. Perché, agli inizi del V secolo d.C., quando Sant’Agostino viveva nell’attuale Algeria, il Nord Africa era al centro della cristianità tanto quanto l’Italia o la Grecia. Ma la repentina espansione dell’Islam nel VII e VIII secolo spazzò via la cristianità dal Nord Africa, dividendo in due le civiltà del Mediterraneo, separate piuttosto che unite dal «Mare di mezzo». Da allora, come osservò il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, «tutta la storia europea è stata una grande emigrazione verso Nord».
Dopo il crollo dell’Impero romano questa migrazione a Nord vide i popoli germanici (goti, vandali, franchi e lombardi) gettare le basi della civiltà occidentale, mentre solo molto più tardi sarebbe stato riscoperto il lascito della classicità greca e romana. Dovevano trascorrere ancora molti altri secoli prima che si sviluppasse il sistema degli Stati europei moderni. Ma lentamente il feudalesimo, che con il suo modello sociale basato sul reciproco scambio aveva favorito il passaggio dall’assolutismo all’individualismo, lasciò il posto ai primi imperi moderni e, con il tempo, al nazionalismo e alla democrazia.
Nel frattempo nuove libertà permisero l’affermarsi dell’Illuminismo. Insomma, l’«Occidente» emerse in Nord Europa (sia pure in modo lento e tortuoso) soprattutto dopo che l’Islam aveva diviso il mondo del Mediterraneo.
Geografia e civiltà
L’Islam però fece molto di più che definire geograficamente l’Europa. Lo storico britannico Denys Hay, in un brillante benché misconosciuto libro pubblicato nel 1957, «Europe: The Emergence of an Idea», sostiene che l’unità dell’Europa cominciò con il concetto (esemplificato dalla Canzone di Orlando) di una Cristianità in «inevitabile opposizione» all’Islam – una concezione culminata nelle Crociate. Lo studioso Edward Said si spinse oltre, scrivendo nel suo libro «Orientalismo», uscito nel 1978, che l’Islam ha definito culturalmente l’Europa, mostrandole ciò a cui era contraria. In altre parole la vera identità europea fu costruita, in larga misura, su un senso di superiorità rispetto al mondo arabo musulmano ai suoi confini. L’imperialismo fu l’esito finale di questa evoluzione: l’Europa moderna ai suoi albori, a cominciare da Napoleone, conquistò il Medio Oriente, poi mandò studiosi e diplomatici a studiare la civiltà islamica, definendola come qualcosa di bello, affascinante, e – fondamentalmente – inferiore.
Nell’era postcoloniale il senso di superiorità culturale dell’Europa fu alimentato dai nuovi Stati di polizia del Nord Africa e del Levante. Con queste dittature che tenevano i popoli prigionieri entro i loro sicuri confini – confini tracciati artificialmente dagli agenti coloniali europei – gli europei potevano fare la morale agli arabi sui diritti umani senza preoccuparsi che gli eventuali disordini causati da esperimenti di democrazia potessero provocare massicci fenomeni migratori. Proprio perché gli arabi non conoscevano i diritti umani gli europei si sentivano al contempo superiori e al sicuro.
La «spinta» del terrore
Ora l’Islam sta contribuendo a distruggere ciò che aveva contributo a creare. La geografia classica si sta riaffermando sotto la spinta delle forze del terrorismo e della migrazione che riunificano il bacino del Mediterraneo, Nord Africa e Oriente compresi, con l’Europa. Il continente in passato ha assorbito altri gruppi, certo. In effetti, l’Europa è stata spesso interessata da significative infiltrazioni di popoli dall’Est: nel Medioevo gli slavi e i magiari emigrarono in gran numero dalle zone interne dell’Eurasia verso l’Europa centrale e orientale. Ma quei popoli adottarono il cristianesimo e in seguito formarono comunità, dalla Polonia al Nord della Bulgaria, in grado di integrarsi, per quanto non senza spargimenti di sangue, nel nascente sistema statale europeo. Al pari dei lavoratori algerini emigrati in Francia e di quelli turchi e curdi arrivati in Germania durante la Guerra fredda, erano avanguardie più contenibili rispetto all’attuale fenomeno migratorio.
Oggi, centinaia di migliaia di musulmani che non hanno alcun desiderio di diventare cristiani si stanno riversando negli Stati europei, economicamente stagnanti, minacciandone la fragile pace sociale. Anche se le élite europee per decenni hanno usato la retorica idealista per negare la forza della religione e dell’etnia, sono stati proprio questi i collanti che hanno garantito la coesione interna degli Stati europei.
Intanto, la nuova immigrazione, provocata dalle guerre e dal collasso degli Stati, sta cancellando la distinzione tra i centri imperiali e le loro ex colonie. L’orientalismo, che faceva sì che una cultura si appropriasse di un’altra e la dominasse, sta lentamente evaporando in un mondo cosmopolita di interazioni e studi comparativi, come aveva intuito Said. L’Europa ha risposto ricostruendo artificialmente identità culturali e nazionali di estrema destra ed estrema sinistra, per contenere la minaccia portata dalla civiltà un tempo dominata.
Anche se l’idea della fine della storia – con tutte le sue dispute etniche e territoriali – si è rivelata una fantasia, questa constatazione non deve essere una scusa per rifugiarsi nel nazionalismo. La purezza culturale che l’Europa agita di fronte all’influsso dei rifugiati musulmani è semplicemente impossibile in un mondo di crescenti interazioni umane.
Restaurazione
L’«Occidente», se il termine significa qualcosa al di là della geografia, manifesta uno spirito liberale ancora più inclusivo. Così come nel XIX secolo non c’era una via di ritorno al feudalesimo, non c’è modo di tornare al nazionalismo, non senza contemplare il disastro. Come disse il grande intellettuale russo Alexander Herzen, «la storia non torna indietro… Tutte le restaurazioni, i ritorni sono sempre stati delle mascherate». La domanda può anche essere posta così: cosa sostituirà Roma nel campo della civiltà? Perché anche se l’impero, come documenta Said, aveva di certo dei lati negativi, la sua grande abilità nel governo dei grandi spazi multietnici attorno al Mediterraneo assicurava una soluzione ormai scomparsa.
L’Europa ora deve trovare qualche altro modo di incorporare dinamicamente il mondo dell’Islam senza smarrire la sua adesione al sistema di diritto nato nel Nord Europa, un sistema che mette al vertice dell’agenda dei bisogni essenziali i diritti individuali. Se non riesce ad evolvere nella direzione dei valori universali, resteranno solo la demenza delle ideologie e i più biechi nazionalismi a riempire il vuoto. Questo segnerebbe la fine dell’ «Occidente» in Europa.
Robert Kaplan/La Stampa 8 maggio 2016
Traduzione di Carla Reschia