Arrivò qualche anno fa, il giorno del suo compleanno, al ristorante Monzu’ Vladi a Trastevere accompagnato dall’amica – allora amica Emma Bonino – e mi invitò a sedere al loro tavolo. Accettai con piacere e subito dopo fui imbarazzato dal suo ordine al cameriere di avere fave e pecorino come d’abitudine a Roma in quel periodo. Gli spiegai che non era nei piatti della tradizione napoletana ma che se voleva avrei potuto mandare il ragazzo a comprare le fave da aggiungere all’ottimo pecorino avellinese di cui il ristorante era fornito. Mi guardò in modo che considerai strano e mi disse “saresti capace di rompere la tradizione per accontentare un cocciuto rompicoglione abruzzese che comunque ti direbbe di tenerti il tuo pecorino avellinese che non ha nulla a che vedere con quello delle mie parti!”

Ci trovammo d’accordo, tra una sigaretta e l’altra a ripercorrere vecchi sentieri di politica napoletana che da consigliere comunale lui aveva percorso e convenimmo sul fatto che Napoli è e resta come una gran bella donna anche facile a concedersi ma assai misteriosa e di non facile comprensione. Ci salutammo mentre una nuvola di fumo bianca avvolgeva noi e il locale con la promessa sua, che mantenne, di farmi avere una forma di pecorino abruzzese. Accettai con piacere ricordandogli che quelle terre avevano visto sventolare la stessa bandiera bianca col giglio. Alzò le braccia e in napoletano pittoresco e montanaro mi disse: “guaglio’ ss’i’ ttuost”.

Ciao Marco. Hai onorato la tua terra portando una forte anche se a volte incomprensibile ma salutare estraneità al ciarpame corrente. Adesso tutti ti loderanno e tutti vorranno fare le corse per comprarti “le fave”.

(Franco Seccia/com.unica 19 maggio 2016)

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