Pino Pelloni, amarcord di un radicale anni ’70
Con la scomparsa di Marco Pannella se ne è andata via anche una fetta della nostra prima gioventù. Sollecitato da Sebastiano Catte, il motore di com.unica, a scrivere ieri un pezzo su Marco l’abruzzese ho rinunciato. Troppo forte l’emozione. Immenso l’assedio dei ricordi, alcuni confusi, altri più chiari, nella mia notturna veglia privata sintonizzato su Radio Radicale. Ieri ero a pranzo nei pressi di Castel Sant’Angelo con amici repubblicani e si discuteva tra noi di laicità, diritti civili, di democrazia quando è giunta la notizia della fine di Marco. Sono andato a piedi a via di Torre Argentina 76, spinto da un sentimento di appartenenza, pieno di commozione, un pò stordito. C’erano compagni giovani, facce a me ignote, ho riconosciuto solo Marta Gemma, la moglie del mio amico Lucio Marziale. Mi sono ritrovato così, nello sbirciare i manifesti ingialliti di tante battaglie civili, quasi per magia, in via Ventiquattro Maggio, a due passi dal Quirinale, giovincello appena iscritto all’Università e presentato a Marco da Carmen Fantastichini e Antonio Azzolini.
Banchetto e ciclostile, le mani sporche d’inchiostro, infinite discussioni… le cene laiche da Panzironi offerteci da Loris Fortuna e dall’avvocato Mellini a noi ragazzi squattrinati d’allora. A volte senza casa, a dormire con il sacco a pelo in quelle stanze… cosa che Marco non permetteva … ma noi lasciavamo alzati i chiavistelli laterali della porta per rientrarvi a notte, dopo un bel film al Rialto, con una semplice spallata. Una mattina Marco trovò me ed Ennio Fantastichini in pigiama intenti a lavarci i denti … fece finta di non capire e ci sorrise. Dietro la porta, lungo un breve corridoio, vicino al mitico ciclostile, per anni sono rimaste accantonate (non ho mai capito perché giacessero lì e chi mai le avesse portate) un bel numero di copie dell’edizione francese dei Dannati della terra di Frantz Fanon, copertina verde e nera, che ancora oggi è nella mia libreria. Per farci guadagnare qualche liretta, Marco ci procurò un lavoretto: quello di impacchettare per la spedizione le copie de ‘L’Astrolabio’, il periodico da cui Ferruccio Parri conduceva campagne per la realizzazione di una democrazia più compiuta. Il 1 dicembre 1969 mi trovai tra gli artefici che portarono il gruppo teatrale del Living Theatre all’Università di Roma per lo spettacolo ‘Paradise now’. Al gruppo americano di Julian Beck e Judith Malina era stata interdetta Roma, perché città santa. Quale migliore occasione per violare il divieto. Alla Facoltà di Lettere ci tolsero la luce. Ero iscritto a giurisprudenza, roccaforte dei fascisti, e osai trasferire lo spettacolo nell’Aula 1 di Legge. Fummo assediati dai picchiatori neri di Caradonna e dalla polizia. Tre squilli di tromba e i celerini senza tanti complimenti sgomberarono l’aula tra il fuggi fuggi degli studenti impauriti. Noi si fece la resistenza passiva e mezzo nudi fummo caricati sui cellulari e condotti a San Vitale. Il vicequestore e capo dell’Ufficio politico della Questura di Roma si chiamava Giocondo Mazzatosta.
Era un gran signore nei modi e nel rapportarsi con noi studenti politicizzati. Ci regalava anche i biglietti per il cinema, basta non facessimo casino. Rinchiusi in uno stanzone, senza cintura dei pantaloni ed orologio, aspettavamo quel che la sorte ci avrebbe riservato. Alcune ore dopo venimmo rilasciati ed accolti da una fiaccolata con in testa Marco Pannella che era venuto a liberarci e Roberto Cicciomessere armato di megafono. Finimmo al ristorante. Poi vennero gli anni della Lid, la legge Fortuna-Baslini, l’anticlericalismo, Giordano Bruno, la Lega per la cremazione, l’11 settembre e Porta Pia, il referendum per il divorzio. Anni di passione civile e di grande esercizio di laicità. Nel 1973 mi trasferii a Pisa per lavoro e proseguire gli studi presso quella università. A Pisa la facevano da padroni Lotta Continua e i paracadutisti. Due soli i radicali: io e Peppino Calderisi. Ogni domenica mattina piazzavamo un banchetto a piazza Santa Caterina, aiutati da uno studente sardo, Peppino anche lui di nome, e vendevamo ‘Liberazione’, il quotidiano radicale con la Marianna e la Rosa nel pugno.
Al banchetto domenicale dei tre Peppini, qualche volta supportati dalla pittrice Sandra Casini, si radunavano i ‘normalisti’ ed era tutto un discutere ed un confrontarsi. Anni belli della gioventù con Marco Pannella, fratello maggiore e compagno di strada, oggi diventati un pezzo della nostra storia repubblicana.
(Pino Pelloni/com.unica, 20 maggio 2016)