A 24 anni dalla strage di Capaci, Giovanni Falcone nel ricordo degli italiani.

Giovanni Falcone si spense il 23 maggio 1992 alle 19.05, all’ospedale civile di Palermo, per le conseguenze del trauma cranico e delle ferite riportate nell’attentato di cui era stato vittima un’ora e sette minuti prima.

Mille chilogrammi di tritolo, sistemato in fustini nascosti in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada A29 direzione Palermo, allo svincolo per Capaci. Un telecomando, per spezzare, frantumare, disintegrare le vite del magistrato, di sua moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Di Cillo. Ventiquattro anni e una ferita ancora aperta nel petto di un’Italia sempre meno civile, sempre meno democratica, sempre più vittima di movimenti politici sporchi, occulti e fratricidi. Anche stavolta ci saranno fiaccolate, discorsi nelle piazze, concerti, programmi televisivi e dirette giornalistiche dedicate all’uomo, al magistrato che credeva di poter combattere la corruzione e le disparità sociali, che sperava di estirpare il male dalle pieghe della società e da una politica sempre più inquinata da interessi sotterranei. Ad ucciderlo non è stata solo la mafia, Cosa Nostra. Non è stato solo Giovanni Brusca che ha azionato il telecomando, ma il veleno, la sfiducia, la malignità, l’isolamento e l’ostracismo che subì da parte di alcuni colleghi e di alcuni uomini politici gli ultimi mesi della sua vita. Possiamo dire a gran voce, lo possiamo urlare, che Giovanni Falcone è stato un eroe, un martire della causa della giustizia.

C’è un albero davanti al suo appartamento di Palermo, al numero 23 di via Notarbartolo: una magnolia stracarica di biglietti, messaggi, disegni, fotografie, fiori e regali. È stato chiamato l’albero di Falcone, una cosa che non si può non notare in quella strada. E’ diventato un monumento, l’albero Falcone, da quando una folla silenziosa e atterrita di palermitani si riunì sotto la casa del giudice per esprimere il proprio dolore e la propria indignazione. Da allora la magnolia ha raccolto i ricordi di moltissime persone giunte da ogni parte d’Italia. È diventato un luogo della memoria in cui si lasciano i bouquet matrimoniali, i messaggi di speranza, le tracce della frustrazione dei cassaintegrati, di chi vive per strada, di chi muore di fame. Ed è sotto quell’albero che ogni anno, il 23 maggio alle 17.58, anniversario della strage di Capaci, il trombettiere della polizia di Stato intona il silenzio per onorare le vittime della mafia.

Falcone era nato e cresciuto a Palermo, nel quartiere popolare della Kalsa. Aveva giocato con Paolo Borsellino, con cui condividerà in futuro l’esperienza del pool antimafia. Aveva giocato con giovani che presero altre strade, come Tommaso Spadaro, storico boss di Cosa Nostra, in carcere per omicidio, traffico di droga e contrabbando. Aveva giocato con Tommaso Buscetta, anche lui membro di Cosa nostra, detto il boss dei due mondi e successivamente divenuto collaboratore di giustizia.

Entrò in magistratura nel 1964. Dal 1966 e per dodici anni lavorò per il Tribunale di Trapani, nel 1978 tornò a Palermo. In quegli anni caddero uno dopo l’altro migliaia di uomini, tra rappresentanti dello Stato, politici e membri delle cosche, tutte vittime della guerra di mafia. Furono gli anni dell’omicidio del giovane attivista e speaker radiofonico Peppino Impastato, del segretario DC Michele Reina, del giornalista Carmine Pecorelli, del banchiere Giorgio Ambrosoli, del capo della Squadra Mobile Boris Giuliano, del magistrato Cesare Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso. Poi toccò a Piersanti Mattarella, fratello del nostro Presidente della Repubblica, a Emanuele Basile, capitano dei carabinieri, a Gaetano Costa, procuratore, a Pio La Torre, segretario del PCI e a Rosario Di Salvo, suo uomo di fiducia. Toccò al generale Carlo Alberto Della Chiesa e a sua moglie Emanuela Setti Carraro. Morirono due figli, il cognato e il nipote di Tommaso Buscetta, che aveva iniziato a “parlare”. Morirono Ciaccio Montalto, magistrato, e Rocco Chinnici, capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo. Il giornalista Pippo Fava. Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, funzionari della Squadra Mobile di Palermo. Furono uccisi Giuseppe Insalaco, ex sindaco di Palermo, Mauro Rostagno, giornalista e leader della comunità Saman per il recupero dei tossicodipendenti, Rosario Livatino, il giudice ragazzino, Antonino Scopelliti, giudice.

1992: caddero Salvo Lima, uomo politico DC ed eurodeputato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino… Vittime dirette, vittime trasversali, vittime casuali di una guerra senza fine. L’albero di Falcone, il triste lamento della tromba, le lacrime di chi è sopravvissuto… simboli di chi non si rassegna, di chi ancora crede.

(Nadia Loreti/com.unica 22 maggio 2016)

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