Barzini, l’uomo che capì i rischi del comunismo
Per chi si fosse dimenticato cosa è stato il Partito comunista in Italia, il grande giornalista liberale Luigi Barzini jr ci fornisce una rinfrescata. Lo ricorda Nicola Porro sul “Giornale“.
Il premier Renzi ha accostato i nomi di Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao a coloro che avrebbero gradito il cambio dell’attuale Costituzione. Ci interessa poco la questione referendaria. Ma ci chiediamo: è mai possibile che due esponenti belli tondi del Pci possano oggi essere considerati delle icone? Più o meno tutti i commentatori di sinistra hanno criticato la spregiudicata operazione di citare i grandi vecchi della storia comunista. Ma nessuno si è chiesto cosa fosse quella storia: ecco perché abbiamo ripreso in mano un vecchio libro di Luigi Barzini jr, pubblicato nel 1955 dalla Mondadori e titolato “I Comunisti non hanno vinto”.
Per chi si fosse dimenticato cosa è stato il Partito comunista in Italia, il grande giornalista liberale ci fornisce una rinfrescata. «Il Pci è una potente, ricchissima e disciplinata organizzazione per la conquista del potere. È manovrato direttamente dall’Unione sovietica» e il cui scopo è l’umiliazione dell’Italia «al dominio sovietico». Non tanto per ricordare i miti comunisti del passato. «Per combatterlo – ammoniva Barzini bisogna conoscerlo». Esagerato? Basta vedere cosa accadeva in quegli anni in Europa. «Col 38 per cento i comunisti cecoslovacchi conquistarono il potere. Se i comunisti raggiungessero il loro obiettivo quelle prossime sarebbero le ultime elezioni libere in Italia». Dopo un paio di anni dal libro, le elezioni politiche decretarono uno straordinario successo della Democrazia cristiana e un Pci confinato al 22 per cento. Barzini, tra gli altri, contribuì a far capire quale fosse il rischio che si correva. Oggi ci ridiamo sopra: all’epoca c’era poco da ridere. E lo scriveva un giornalista, formatosi in America, di formazione liberale e che aveva conosciuto il carcere fascista.
Barzini, e fa bene, descrive alla perfezione la macchina del partito e una delle sue caratteristiche peculiari, che lo rendevano molto pericoloso per la democrazia italiana. «Non vi può essere nessun dubbio che il Partito comunista italiano riceva dall’estero, sotto varie forme, somme importanti, che, per la parte palese dell’organizzazione, dovrebbero arrivare alla decina di miliardi di lire negli anni normali e a molto di più negli anni elettorali». Il Pci d’altronde spende circa trenta miliardi di lire l’anno e certo non può farcela con il solo tesseramento, è la tesi molto convincente di Barzini, che prende ad esempio i conti della federazione di Firenze. L’Unità definì Barzini jr il «fesso del giorno». A cinquant’anni di distanza e proprio alla fine di quel mese di maggio (era il 25 maggio del 1958) in cui l’Italia scelse di non essere comunista, fa ridere vedere un premier in difficoltà che riscopre grandi esponenti di un partito che ci voleva sovietici.
Nicola Porro, IL GIORNALE 29 maggio 2016