Ebrei in Puglia e in Basilicata. Una storia dimenticata
Hanno rappresentato per secoli una ricchezza culturale ed economica ed un ponte tra le civiltà. Poi l’ennesima persecuzione.
“L’ebraismo lascia una sorta di profumo di muschio” la definisce così, la professoressa Maria Pia Scaltrito della Società di Storia Patria per Puglia, la storia degli ebrei di Puglia e Basilicata. Storia finita nell’oblio come un certo Mezzogiorno dimenticato. “I-tal- jah”, l’isola della rugiada divina, l’inizio di tutto. Di una storia di esodi e di crescita commerciale e culturale. Era il 70 d.C. e cinquemila prigionieri ebrei furono deportati a Taranto e in Terra d’Otranto fra schiavi e liberti. Nulla di nuovo sotto il sole delle epoche storiche contrassegnate dalle persecuzioni del “popolo eletto”. “Hanno influito moltissimo sull’economia pugliese dopo l’età volgare mentre il resto d’Italia era completamente in balìa delle invasioni barbariche tra il 400 e il 500, nel meridione c’era un relativo benessere grazie ai traffici e alle fabbriche, alle manifatture laniere di Venosa, di Canosa, la manifattura di Taranto e più tardi anche di Otranto, ha dichiarato la professoressa Scaltrito rimarcando l’importanza storica dell’impronta lasciata dagli ebrei in Puglia. Testi e fonti dagli archivi dimostrano la vita degli ebrei “pugliesi”.
“Sefer Yoseppon”, il libro di Giuseppe, una cronaca in ebraico biblico composta a Venosa o Benevento nel X secolo è una delle testimonianze del grande lavoro di scrittura portato avanti dagli ebrei. Fu l’imperatore romano Tito a portare via le famiglie aristocratiche “e quando si taglia testa ad un popolo e si tolgono le famiglie notabili, un popolo si perde. – commenta ancora Scaltrito – Erano popolazioni divise in tribù dove la genealogia era importante. Pertanto gli altri hanno seguito le famiglie notabili in Italia.” Famosa è la scuola dei copisti di Otranto che rimanda alla scrittura quadrata ebraica italiana formatasi proprio intorno alla scuola salentina diretta discendente della tradizione del monachesimo. Al sud si riesce ad avere questo melting pot, questo meticciato culturale che produce scambi culturali (oltre che economici) intensi tra mondo cristiano e mondo ebraico.
Un’osmosi che rafforza il percorso comune, che svela con maggior forza le radici storiche, culturali, sociali, intangibili del mondo nel quale viviamo.
“Si è fatto di tutto per farci dimenticare che per 16 secoli abbiamo avuto gli ebrei. Le sinagoghe sono state trasformate in chiese. Abbiamo seppellito tutto. Cenere e cenere.” Dichiara la docente con un tono di amarezza nella voce che rimanda all’ennesima damnatio memoriae, a quella Shoah silente, magari meno cruenta, ma ugualmente feroce, vissuta dall’ebraismo in Puglia. Le città pugliesi compaiono negli scritti ebraici. La prima menzione riguarda Brindisi nella Mishnah, quando la nave riporta in Giudea Rabbi Aquiba lasciando il molo del capoluogo nel 97 dopo Cristo.
Gli ebrei erano artigiani, commercianti e contadini e dalla Puglia mantenevano rapporti con la Grecia, il Nord Africa, la Spagna, la Mesopotamia e la Palestina. Una vera e propria rete globalizzata ante litteram che dava forza al commercio nel Mediterraneo rendendolo ponte tra i popoli ancor più che nelle epoche precedenti, pure contrassegnate da fenomeni di commercializzazione legati all’esperienza coloniale fenicia e greca (e poi cartaginese e romana).
Poi la catastrofe: “Gli ebrei sono andati via dalla Puglia quando sono stati cacciati dai re di Spagna e dai corrispettivi sovrani delle nostre terre nel 1500. – ha spiegato il prof. Guido Regina, presidente dell’associazione Italia-Israele -. Da allora la presenza ebraica è scarsa in Puglia. E non abbiamo mai avuto una sensazione “tattile” di quello che è l’ebraismo.”
Il reperto più antico che testimonia la presenza degli ebrei al Sud è l’epigrafe di Glyka e si trova a Otranto, in provincia di Lecce. Risale alla fine del III secolo, scritto in ebraico e in greco. Ma non è l’unica. Ce ne sono altre a Lecce, Oria, Matera, Gravina, Venosa, Bari, Capua e Taranto.
A Venosa, in provincia di Potenza, la comunità più numerosa e documentata dalla ricchissima catacomba ebraica della nobile Augusta, moglie di un decurione di Venosa e nipote di un notabile ebreo di Lecce. E poi, sempre a Venosa, c’è il più ricco patrimonio epigrafico alto medievale d’Europa sulla collina della Maddalena. Ancora ad Oria, il colle degli Impisi e il Pozzo della Maddalena dove riposano insieme cristiani ed ebrei. Dato storico e “politico” da non trascurare. Poi si decide che questa fetta di storia debba essere cancellata. Giustiniano, nel 553, ordina la trasformazione delle sinagoghe in chiese e nonostante l’imperatore bizantino vieti l’uso dell’ebraico nelle sinagoghe, comincia nelle terre di Apulia il periodo più fecondo. “Dal XI secolo, in un miscuglio felice di genti, lingue, culture diverse inizia un nuovo mattino ebraico nella nostra regione.”, rammenta infine Maria Pia Scaltrito Perché dimenticare la storia degli ebrei in Puglia? Perché l’ennesima dannazione della memoria? Rimane questo dubbio che spunta come ginestra tra le crepe di antichi monumenti, insieme al profumo di muschio e ai ricordi di sinagoghe.
Emanuela Carucci/IL GIORNALE, 5 giugno 2016