Per fermare la violenza sulle donne: educazione e inasprimento delle pene
Ancora violenza sulle donne, ancora donne che muoiono ammazzate dai loro compagni, che non hanno accettato di essere lasciati, che non accettano di essere respinti. La cronaca degli ultimi giorni ci riporta prepotentemente le storie di donne picchiate, segregate, stuprate, bruciate, strangolate, accoltellate, decapitate, impiccate… tutte su territorio italiano, dove c’è una forte tradizione cattolica familiare, dove ci si oppone alle unioni di fatto sia etero che omosessuali e dove, per una sorta di schizofrenia sociale ed emozionale, è proprio la famiglia a diventare sbagliata e distruttiva, quella famiglia che dovrebbe essere una comunità di amore e di vita.
C’è purtroppo una cultura del possesso e della prevaricazione, che vede la donna come oggetto di soddisfacimento affettivo, narcisistico e sessuale, e guai se dovesse sottrarsi a questo ruolo! Ma c’è anche una legge sul femminicidio: Decreto Legge, testo coordinato 14/08/2013 n° 93, G.U. 16/08/2013. Il decreto mira a rendere più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori, come lo stalking, con inasprimento delle pene se la violenza viene perpetrata davanti a minori, se la donna vittima della violenza è in gravidanza, se i fatti avvengono ai danni del coniuge. Si è provveduto a varare un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che prevede azioni di intervento multidisciplinari, a carattere trasversale, per prevenire il fenomeno, potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza, formare gli operatori.
Tutto perfetto. Poi si viene picchiati in strada e nessuno interviene, nessuno chiama il 113, neanche in forma anonima. E allora vengono fuori le teorie degli psicologi sociali, che parlano di paura, di effetto- spettatore, di responsabilità personale che nel gruppo è diluita, di ignoranza collettiva, perché magari non si capisce quello che accade, si sottovaluta… io stessa sono stata vittima di violenza. Sono stata picchiata in pubblico, in un supermercato, mentre ero in fila alla cassa e nessuno ha mosso un dito. Ho chiesto aiuto, ma la cassiera mi ha detto di calmarmi, mentre continuava a passare gli articoli sullo scanner. Tutti avevano gli occhi che guardavano altrove, nessuno incrociava i miei. Sui volti di quelle persone c’era tutta la consapevolezza di quanto stesse accadendo, ma anche tanta impotenza mescolata a tanta voglia di non vedere. La donna diventa un nemico da eliminare se l’uomo si sente tradito, offeso, umiliato, abbandonato; quindi scarica su di lei tutta la responsabilità del suo sentire. Si tratta di uomini fragili che non riescono a vedere la donna come una persona “altra” da sé, con una propria personalità e con i sacrosanti diritti di dire “no”.
È una questione di cultura e di educazione che vedono l’attribuzione di ruoli di genere sin dalla nascita, quando invece insieme alle differenze naturali va insegnato il rispetto di genere, sia alle bambine che ai bambini. La legge sul femminicidio da sola non serve a niente se non cambiano le coscienze, gli atteggiamenti, la cultura. È la madre a fare la differenza, quando si educa il bambino: la donna non sta accanto a un uomo per servirlo e soddisfarlo, in silenzio e a tutte le condizioni. Se si ribalta questo concetto, che non è una mera questione di femminismo, si è sulla strada giusta per fermare la violenza sulle donne.
(Nadia Loreti/com.unica, 5 giugno 2016)