Le fasciste di Salò. Criminali impunite
Sulle donne che militarono, in varie forme, nella Repubblica sociale italiana, sono stati versati fiumi di inchiostro.
Cecilia Nubola, in un suo volume edito da Laterza (Fasciste di Salò, 234 pagine, 20 euro), scrive ora una “storia giudiziaria” di queste “donne in armi”, prendendo in considerazione una quarantina di vicende individuali, ricostruite attraverso i fascicoli dell’Ufficio Grazie del ministero della Giustizia, che trattano appunto i provvedimenti di clemenza di cui beneficiarono. Dalla lettura del testo di Nubola, si ricava una considerazione finale, che qui conviene anticipare. Ossia, che la missione del giudicare appartiene più al divino che all’umano. Perché, la materia dell’accertamento delle reali colpe e responsabilità personali di queste donne è talmente ostica e complicata, da suggerire grande prudenza.
La tesi di fondo dell’autrice è infatti la seguente: dopo l’amnistia di Togliatti del 1946, che condonò la maggior parte dei reati (politici, militari e comuni) compiuti durante la guerra, e nei mesi immediatamente successivi, il clima nel Paese mutò così radicalmente, da imporre un generale “colpo di spugna” anche su quei crimini, particolarmente efferati, che non ricadevano nelle fattispecie previste dal provvedimento di clemenza che porta la firma del leader comunista. E, difatti, le “fasciste di Salò”, processate, condannate e detenute, riguadagnarono la libertà, entro il 1956-57, nonostante fossero state punite per aver commesso reati come strage, sevizie, saccheggi, e delitti compiuti a scopo di lucro. Questo è indubbiamente vero, ma è soltanto un corno del dilemma. Perché, se l’amnistia togliattiana, e i successivi atti di clemenza adottati dai ministri repubblicani, valsero a “raffreddare” il clima di aspra contrapposizione politica, calmando le fazioni che avevano dato luogo alla guerra civile 1943-45, questo è soltanto perché, per l’appunto, l’atmosfera del Paese era stata surriscaldata fino al punto di ebollizione.
Del resto, i cosiddetti organi di giurisdizione speciale, attivi in Italia con le Corti di assise straordinaria, furono in realtà strumenti che operavano in circostanze eccezionali, quasi rivoluzionarie: i pubblici ministeri vi signoreggiavano, mentre la difesa degli imputati era ridotta spesso a entità simulacrale. Senza considerare che la formazione delle prove, acquisite testimonialmente, era priva di garanzie legali: i processi, nelle città del Nord, venivano trasmessi nelle piazze con gli altoparlanti, e chiunque, anche durante lo svolgimento delle udienze, poteva improvvisare una deposizione “a carico” del reo alla sbarra, salendo sul predellino senza essersi nemmeno annunciato alle parti. Dunque, furono commessi abusi ed eccessi, ai danni di fascisti, uomini e donne, che in realtà non avevano gravi macchie sulla coscienza. Ciò non significa, naturalmente, che non siano stati assicurati alla giustizia perfetti delinquenti che meritavano le pene più severe.
Significa semplicemente ammettere che le Corti di assise straordinaria sovrabbondarono, nella misura delle sanzioni, co- sì come emerge dagli esiti processuali che produssero, e solo alla luce di questa considerazione risulta possibile valutare i successivi provvedimenti di clemenza. Detto questo, il lavoro di Nubola è interessante per la galleria di storie umane che presenta, con relative elencazioni di crimini che oggi sconcertano, anche perché non esemplari di virtù femminili. Le donne di Salò, prese in esame, si dedicarono ad atti odiosi: furono delatrici, denunciatrici di ebrei e carnefici, presero parte ai rastrellamenti di partigiani, collaborarono con i loro “colleghi” maschi nel cancellare ogni traccia di umanità dal panorama desolante della guerra combattuta con l’invasore in casa.
Esemplare, a tale proposito, il caso delle due figlie di Mario Carità, il capo di una delle bande di tagliagole che proliferavano nel sottobosco criminale della Rsi. Le violenze per le quali furono condannate sono talmente rivoltanti da rendere inevitabile una domanda, che tuttavia non cancella le considerazioni di cui sopra: fu veramente equo aver loro concesso scappatoie giuridiche che le resero nuovamente donne libere, nel breve volgere d’una stagione? Di grande interesse anche la vicenda di Cornelia Tanzi, una delle numerose amanti di Mussolini, la quale rese una delazione che provocò a Roma un rastrellamento tedesco. Già nel luglio 1946, l’antica fiamma del dittatore venne scarcerata, e anche a tale riguardo sorgono degli interrogativi.
Roberto Festorazzi, AVVENIRE, 30 giugno 2016