Il pontefice, per evitare il rapimento, avrebbe dovuto nascondersi nella Torre dei Venti. Nell’inverno tra il 1943 e il 1944 Roma era una città aperta ma de facto sotto il controllo della Wehrmacht.

E gli occupanti nazisti si stavano seriamente chiedendo cosa fare del Papa, tanto più che gli alleati si stavano avvicinando rapidamente. Iniziarono a circolare piani per il rapimento del pontefice, la così detta operazione Rabat (nota in tedesco anche come Aktion Papst). I dettagli di questa operazione (ma forse di azione se ne pianificò più d’una) non sono mai stati chiariti del tutto. Nel corso del tempo, soprattutto grazie alla testimonianza del generale tedesco delle SS Karl Wolff, se ne sono delineate le linee generali. Durante il processo di Norimberga disse che Hitler stava già pensando di rapire il papa nel settembre del ’43. Secondo altri storici, l’idea di partenza non fu nemmeno di Hitler, bensì di Léon Degrelle. Capo dei nazisti belgi, aveva fondato il movimento rexista che fondeva l’antisemitismo a un cattolicesimo di facciata.

A inizio ’44, Degrelle mise a punto il progetto di rapire Pio XII per deportarlo in Germania e magari costringerlo a firmare un’enciclica filo nazista. Il piano fu presentato a Hitler: agenti delle SS avrebbero dovuto travestirsi da sionisti e partigiani per sequestrare Pacelli. Dopo di che, la Wehrmacht avrebbe compiuto un «salvataggio» per portarlo in Germania. A una operazione molto simile lavorarono probabilmente Karl Wolff, generale delle SS, e il generale Wilhelm Burgdorf. Pare che le prime esercitazioni dei rapitori fossero in corso nei dintorni del castello di Bracciano quando la loro presenza venne notata e forse il Vaticano, nella persona di monsignor Montini (ovvero il futuro papa Paolo VI), fu informato. Sino a qui quanto si sapeva sino a oggi, una sciarada che per altro alcuni storici, come Owen Chadwick (1916-2015), hanno contestato.

Ora però L’Osservatore Romano ha pubblicato, mercoledì, uno scritto inedito che consente di fare luce sulla vicenda e lascia capire che certamente il Vaticano fosse al corrente del piano. Convinto della sua pericolosità, prese le sue contromisure. Il testo è stato recuperato tra le carte di Antonio Nogara (1918-2014) unico figlio di Bartolomeo, che fu direttore dei Musei vaticani dal 1920 sino alla morte, nel 1954.

Nogara racconta che in una fredda notte tra il gennaio e il febbraio del 1944 suo padre ricevette una visita notturna di monsignor Montini. Subito dopo i due uscirono frettolosamente. Perché? Nogara lo apprese il pomeriggio seguente. «Mio padre ci svelò che l’ambasciatore del Regno Unito Sir Francis d’Arcy Osborne e l’Incaricato d’affari degli Stati Uniti Harold Tittmann avevano congiuntamente avvertito monsignor Montini di aver avuto notizia, da parte dei rispettivi servizi militari d’informazione, di un avanzato piano tedesco per la cattura e la deportazione del Santo Padre con il pretesto di porlo in sicurezza sotto l’alta protezione del Führer». I due diplomatici assicurarono la disponibilità degli alleati a intervenire in soccorso del Pontefice, se necessario anche con un aviolancio di truppe. Fu così che Montini e Nogara Senior si affrettarono a cercare un luogo adatto per nascondere Sua santità. Dopo affannose ricerche, dalla Galleria lapidaria alla Biblioteca vaticana, localizzarono il luogo adatto: la Torre dei Venti. Le sue molte stanzette erano perfette.

Giorni dopo il pericolo sembrava rientrato. Nogara confidò al figlio che: «Il piano di Hitler era già da tempo noto a conoscenza del Vaticano, che era stato allertato da riservate indiscrezioni tedesche di persone ostili al piano in questione». Erano stati probabilmente gli stessi diplomatici tedeschi a Roma a convincere Hitler a non giocare questa carta. Non ebbe poi la possibilità di ripensarci perché l’avanzata degli alleati, ormai inarrestabile, liberò la città tra il 4 e il 5 giugno del 1944. La lunga testimonianza di prima mano di Nogara, però, conferma in maniera definitiva che il piano tedesco esisteva. Almeno secondo Montini e la Santa sede.

Matteo Sacchi, IL GIORNALE 9 luglio 2016

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