Paul Berman: “Obama ha creato grandi aspettative sul Medio Oriente ma poi ha fallito”
In un’intervista al “Corriere della Sera” uno dei maggiori esperti americani di politica estera esprime un giudizio molto critico nei confronti della presidenza Obama.
In politica estera, «presumo e spero che Hillary farà meglio di Obama», dice lo storico e saggista Paul Berman. Critico da tempo dei fallimenti in Medio Oriente del presidente, gli riconosce importanti successi per la ripresa economica e afferma che in America verrà ricordato come un buon leader. Ma la sua speranza di una politica estera «più sofisticata» risiede ora in Hillary Clinton.
Incontriamo l’autore di «Terrore e liberalismo» (Einaudi) in un locale di Brooklyn. Sono i giorni in cui l’immagine di Omran, il bimbo di Aleppo coperto di polvere e sangue, è finita in prima pagina ma è subito sparita, risucchiata dalla sfida per la Casa Bianca tra Hillary e Trump.
La presidenza di Obama sta per finire, è tempo di fare un bilancio?
«Negli Stati Uniti resta popolare. Non c’è più una fiducia soprannaturale in lui, ma il suo indice di approvazione è buono ed è una delle ragioni per cui Hillary vincerà. Nel resto del mondo è diverso. I suoi più grandi successi sono in patria, non internazionali. Nel 2012 vinse con lo slogan “Bin Laden è morto, General Motors è viva”. Se puoi dire una cosa del genere, hai vinto. Ha guidato
l ’America fuori dalla recessione con risultati migliori che in Europa. Rispetto alla Merkel, crede che a volte si devono spendere soldi per fare soldi. L’assistenza sanitaria ha ancora problemi ma alla lunga funzionerà bene. Ma gli affari internazionali sono un’altra storia. All’inizio c’era una speranza sovrannaturle nei suoi confronti, appena eletto ha vinto il Nobel per la pace. Ha creato grandi aspettative in Medio Oriente senza aver modo di realizzarle: aveva una visione sciocca dei problemi, credeva che il conflitto israelo-pa lest nese fosse la questione centrale, ma abbiamo visto il Medio Oriente dissolversi in guerre civili che non hanno niente a che fare con quel conflitto. Ha fallito nel giudicare i movimenti islamisti e l’importanza della presenza americana, ritirando le truppe dall’Iraq, non intervenendo in Siria e intervenendo in Libia senza un piano. Ha incespicato molte volte».
Come verrà ricordato?
«Verrà ricordato come un buon presidente per la politica economica e sanitaria. I suoi errori e fallimenti in politica estera non vengono percepiti negli Stati Uniti. Se Putin ha conquistato la Crimea e invaso l’Ucraina, se la guerra dilaga nel mondo arabo, se la Siria è crollata, tutte queste cose non vengono sentite qui. Sentiamo il terrorismo islamista, quello sì. Obama ha fatto del suo meglio per cercare di minimizzare, e così la natura della minaccia non viene capita. Dopo ogni evento terroristico, dice che non ne conosciamo la causa, fa impazzire i repubblicani, e così vince di nuovo proprio perché, impazziti, dicono cose senza senso. Per molti versi è stato un presidente di successo, ma presumo e spero che Hillary farà meglio. Credo che abbia una comprensione p iù sofisticata della polit ca estera».
Per via dell’esperienza di segretario di Stato o anche grazie a quella di First lady?
«Il periodo di Bill Clinton alla Casa Bianca è stato molto istruttivo per entrambi. I negoziati con Arafat furono un’eccellente esperienza educativa».
Obama andrà in Louisiana martedì, perché non l’ha fatto prima?
«Perché si presenta come una persona estremamente razionale, fredda, il suo cuore non batte forte. Questa è sempre stata una fonte del suo carisma: la persona più carismatica è quella che, tra 10 mila persone che esultano per lui, resta cool. In Louisiana vede un disastro che richiede l’azione delle agenzie federali ma nulla che personalmente possa fare. Questo è vero razionalmente, ma c’è la parte non razionale del lavoro di un presidente, che consiste nel mostrare solidarietà nei momenti di difficoltà, assicurare che il governo conosce la situazione, che il presidente è in controllo. L’unico modo per fare tutto questo è teatrale: essere là, mettere la mano sulla spalla della gente che soffre, ma non è il suo impulso, non è nelle sue corde. Così la gente si sente abbandonata».
Questo succede in tutto il mondo?
«Obama ha fatto gesti estremamente umani nei confronti delle persone che soffrono: per esempio quando la deputata britannica Jo Cox è stata uccisa prima della Brexit ha chiamato suo marito per consolarlo, ma è stato un gesto privato, non fa queste cose in veste pubblica. Obama il presidente però avrebbe dovuto telefonae al premier Cameron: non so se l’abbia fatto, ma non ha fatto notizia. Questo conta politicamente, anche nel mondo, perché l’essere presidente degli Stati Uniti ha ancora un significato nel mondo».
(Viviana Mazza/Corriere della Sera, 22 agosto 2016)