Il 5 ottobre ricorre la Giornata Mondiale degli Insegnanti, istituita dall’Unesco nel 1994 per sostenere la necessità di rilanciare e valorizzare il ruolo degli insegnanti e l’importante contributo che forniscono all’educazione e allo sviluppo.

In Italia, la figura del docente è stata negli ultimi anni sotto i riflettori con i provvedimenti varati dal governo per riformare l’ordinamento scolastico e per le proteste che sono scaturite dall’approvazione della riforma. Non è mancata una certa classe dirigente che ha sistematicamente delegittimato gli insegnanti, relegando la scuola ad un ruolo di incertezza e marginalità. Oggi è più che mai importante avere bravi docenti e ottimi educatori per ispirare e orientare lo sviluppo intellettuale dei giovani. La società ha ormai smarrito i valori essenziali e si è rifugiata nell’illusorietà di carriere prive di sacrificio, rapide, economicamente gratificanti. Si è aperta una distanza profonda tra insegnanti e ragazzi, tra famiglie e insegnanti, che quest’ultimi cercano faticosamente di colmare. Gli insegnanti hanno perso la loro credibilità e spesso sono vissuti dai giovani e dalle famiglie non come gli intermediari della cultura, ma come nemici. E loro, i docenti, oggi sono sempre più stanchi, demotivati, persi, molti hanno smesso di credere nella funzione stessa dell’educazione. Recuperare la credibilità del ruolo può diventare difficile, ma non impossibile. Occorre coerenza nel proprio comportamento e nelle proprie azioni, sottolineare l’importanza dello sforzo nello studio, riconoscere i meriti e premiarli, non aver paura di correggere quando è necessario, dando la giusta direzione e il giusto spazio al dialogo. Occorre recuperare il senso della vita. Buone pratiche quotidiane per arrivare a risanare le fratture tra insegnanti e alunni, tra insegnanti e famiglie. Il senso della vita deve essere inteso come progetto di vita, come viaggio fatto insieme attraverso percorsi ricchi di contenuti, riconoscendo e accettando la diversità di ciascuno, liberi dall’omologazione, dai pregiudizi, da un fare generalizzato, sempre uguale, ripetitivo.

L’educazione è un processo sociale in cui l’insegnante dirige, come in un’orchestra, le attività all’interno del gruppo classe per sviluppare un’esperienza che risponda ai bisogni di tutti, lasciando spazio all’iniziativa individuale, purché questa iniziativa muova in un ambiente controllato. Allora l’insegnamento diventa testimonianza, conoscenza, di sé e dell’altro. Il bambino, il giovane, è al centro di ogni attività educativa con la sua identità in divenire. L’insegnante non parla solo alla mente del bambino ma anche alla sua anima. Chi sceglie di diventare un insegnante sa che dovrà affrontare un importante percorso di studio, fatto anche di sofferenza, fatica e continua riflessione personale. Ogni insegnamento porta con sé un cambiamento in chi apprende e questo cambiamento genera a sua volta un nuovo atto creativo, di cui l’insegnante si sente, ed è, responsabile. Ogni insegnante mette il bambino, il discente, sulla strada per diventare quello che è destinato ad essere, sé stesso.

Attualmente, in questo periodo storico di crisi economiche e di deriva umana, a dominare le relazioni personali tra adulti ma anche tra bambini e tra i giovani in generale, è uno stile comunicativo fondato sull’aggressività e la violenza verbale. Si alza la voce, si ricorre ad un linguaggio volgare ed intimidatorio, si usa la forza fisica, sicuramente per rafforzare la propria superiorità e nascondere la debolezza, il senso di vaghezza, la paura. Perché non sempre si è in grado di fare i conti con la parte più fragile e imperfetta di noi stessi, soprattutto non lo sono i bambini. Allora ecco l’ausilio dell’educazione emotiva ed emozionale, a integrazione e completamento di quella parte razionale che funge da fondamento nella quotidianità della relazione educativa e dell’azione didattica. Educare all’affettività significa portare l’individuo alla maturazione. Educare al pensiero critico significa mostrare che esiste la possibilità di una scelta, che si matura attraverso una serie di azioni razionali ed emotive insieme. Dove l’emozione è un processo che deriva dall’interazione dell’organismo con il contesto ambientale, naturale e culturale. La relazione educativa è relazione affettiva. Emozione è relazione e l’affettività può essere educata. Oggi più che mai, di fronte agli standard richiesti dal sistema: ricchezza, potere, successo. Si corre per affermarsi e non essere tagliati fuori, pagando un prezzo elevato in stress e ansia da prestazione. L’insegnante può sfuggire a tutto questo mettendosi in gioco, accettando le proprie fragilità ed imperfezioni, rinunciando alla pretesa di ottenere ad ogni costo il risultato programmato.

La nuova idea di educazione è Insegnare ad Esistere, stare al mondo sopportando e gestendo il flusso emotivo che spesso ci travolge, che spinge alla deriva anche i più giovani. La sfida è educare a sentire, a conoscere le proprie capacità e usarle al meglio. È saper vivere con gli altri collaborando, condividendo, senza sopraffare o essere sopraffatti. È saper mostrare rispetto per l’altro, in un incontro autentico che è alla base di una comunità democratica. L’insegnante deve essere quindi percepito come una guida, un maestro di vita, che investe tutta la sua persona nella relazione educativa e non si sottrae alla responsabilità che il suo ruolo comporta.

(Nadia Loreti/com.unica 3 ottobre 2016)

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