A sole 48 ore dal voto i due candidati alla Casa Bianca si giocano le ultime cartucce e saranno impegnati in una girandola di comizi negli stati in bilico (come la Florida), in cui vi è ancora molta incertezza sull’esito finale. I democratici, che consideravano la vittoria scontata fino a pochi giorni fa, sono costretti ora a giocarsi anche la carta Obama, che terrà un comizio nel Michigan. Trump è atteso invece in Virginia, dove i Repubblicani sono dati in rimonta. I sondaggi danno ancora Clinton in vantaggio sul suo rivale repubblicano. Un vantaggio che secondo la media dei vari istituti diffusa da Real Clear Politics si è però ulteriormente assottigliato negli ultimi giorni ed è di soli 1,7 punti nel voto nazionale. Un po’ tutti sottolineano il ruolo chiave dei cosiddetti “indecisi”, che sono in numero decisamente maggiore rispetto al passato a causa dell’impopolarità di entrambi i contendenti. A questi si devono sommare gli elettori che nelle ultime settimane hanno abbandonato i candidati minori Gary Johnson e Jill Stein. 

Non tutti i commentatori tuttavia sono convinti che il magnate repubblicano possa avere realistiche chance di vittoria. Per l’autorevole Politico, Trump ha bisogno per vincere che molte cose (forse troppe contemporaneamente) girino a suo favore. Anzitutto non si può dimenticare il fatto che in stati dati in bilico come Florida, North Carolina, Colorado, Iowa e Wisconsin milioni di persone hanno già votato in anticipo e quindi le opportunità per cambiare il destino della campagna inevitabilmente diminuiscono. In secondo luogo, mentre Trump può contare solo sulle proprie forze, Hillary Clinton ha dalla sua il sostegno dell’intero apparato del partito e di importanti personalità che in queste ore la stanno supportando con grande impegno e dispiego di energie. Oltre a Barack Obama e a sua moglie Michelle sono in prima fila anche l’ex rivale di Clinton alle primarie Bernie Sanders, il vicepresidente Joe Biden e figure di spicco del mondo dello spettacolo e dello sport come la star dell’NBA LeBron James e il rapper Jay-Z.

In questi ultimi giorni di campagna elettorale molti media americani riportano le analisi riguardanti i fact-checking sulle affermazioni dei due rivali. Per il Politifact, addirittura il 60% delle affermazioni di Donald Trump in campagna elettorale sono false, per il 17% si tratta di autentiche bufale. Secondo l’Atlantic almeno quaranta delle sue esternazioni, su donne o messicani, sarebbero costate in passato a un candidato il ritiro. Ci si interroga quindi perché, nonostante tutto, il tycoon sia ancora qui a giocarsela. Una spiegazione è data dalla copertura mediatica di queste elezioni, non solo dall’impopolarità della candidata democratica. Lo spazio dedicato allo “scandalo” delle mail di Hillary Clinton – secondo Vox di “modesto significato” – è stato di gran lunga più rilevante di tutti gli altri temi messi insieme. Per altri vi è invece forse qualcosa legato a una peculiarità che Trump riesce a incarnare come pochi altri, che va al di là delle balle che lui racconta ogni giorno alla platea degli elettori. Per esempio (lo sottolinea Atlantic) una visione del capitalismo molto semplificata e che ha un certo appeal su molte persone, soprattutto su quelle meno istruite: come gioco a somma zero, in cui non c’è spazio per le sfumature di grigio e in cui sempre qualcuno vince e qualcuno perde. O anche la fine (è questa l’opinione riportata dal New Yorker) del cosiddetto ‘eccezionalismo americano’, la convinzione che gli Stati Uniti debbano sempre intervenire in ogni area del pianeta a difesa della democrazia e della libertà, anche per conto degli altri. Il concetto che descrive meglio il fenomeno Trump, secondo l’Economist, è però quello di post-verità: i politici hanno sempre mentito, eppure il magnate è il primo per cui il rapporto con la verità è del tutto indifferente. 

Un capitolo a parte da prendere in considerazione in queste elezioni è quello della cyber-sicurezza. Oggi Guido Olimpio sul Corriere della Sera riporta a tale riguardo la notizia che alcuni hacker americani avrebbero violato la rete di sicurezza russa: un’azione preventiva, un segnale di deterrenza per evitare che Mosca organizzi attacchi informatici durante il voto. Si tratta, secondo il canale Cbc, che ha diffuso per primo la notizia, di un’azione adottata come risposta agli hacker del gruppo Guccifer 2.0 — considerati dall’intelligence vicini ai russi — che avevano affermato di voler “monitorare dall’interno” la consultazione elettorale. Ma al di là dell’esito finale appare chiaro che Putin abbia comunque ottenuto lo scopo di minare seriamente la reputazione della democrazia americana.

(Sebastiano Catte, com.unica 6 novembre 2016)

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