[ACCADDE OGGI]

L’8 novembre 1934 l’Accademia di Svezia “per il suo audace e ingegnoso rilancio dell’arte drammatica e scenica” conferì il Premio Nobel per la Letteratura a Luigi Pirandello. Aveva 67 anni lo scrittore di Girgenti, l’odierna Agrigento, che si riteneva figlio del “Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco ‘Kaos’”. Il caos a cui si riferiva Luigi Pirandello, universalmente riconosciuto tra i più grandi scrittori e drammaturghi dello scorso secolo, era quello di una “bestia davanti ai cui occhi crolla come un castello di carte qualunque sistema filosofico”, ma anche quello del soffermarsi alle apparenze giacché “ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt’al più sorridere”. Insomma, anche scherzandoci e mettendo tutto e tutti alla berlina, Pirandello fu un feroce e severo critico dei vizi e dei difetti dell’uomo perché “Uno, nessuno e centomila” come anche “Così è se vi pare” sono la faccia di una identica medaglia in cui l’uomo è “Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari” e la verità è sempre la sua “La verità? è solo questa: che io sono”; e anche quando come “Il fu Mattia Pascal” è obbligato a seguire le regole che gli altri gli dettano e a cui lui vorrebbe sottrarsi se ciò gli accade non può più tornare indietro.

Pirandello che sarà tra gli Accademici d’Italia quando così si chiamerà l’Accademia dei Lincei, visse il suo tempo con le proprie idee e poco gli importerà delle accuse e degli ostracismi che da parti apparentemente opposte si addensarono sulle sue opere che resteranno a testimonianza di uno spirito libero.

Quasi due anni dopo la massima onorificenza mondiale, quel medaglione in oro da Premio Nobel che lui regalerà con fierezza per sostenere le ragioni italiane contro le sanzioni economiche, Luigi Pirandello, il 10 dicembre 1936, morirà e lascerà scritto ai figli le seguenti disposizioni: “1- Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. 2- Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. 3- Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. 4- Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui.

(Franco Seccia, 8 novembre 2016)

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