La testimonianza di un sopravvissuto al genocidio di Srebrenica e le analogie con i massacri compiuti dall’esercito di Assad e dai suoi alleati. 

L’ambasciatore russo all’Onu aveva annunciato l’altro ieri che Aleppo sarebbe stata liberata dopo l’accordo per permettere l’evacuazione di combattenti e civili. In altri termini si sarebbe consumato l’atto conclusivo di una lunga battaglia con la sconfitta degli oppositori. Una sconfitta che non è quella dell’Isis (che ad Aleppo non è presente da oltre due anni) come affermano trionfalmente i russi e come viene riportato erroneamente da alcuni media occidentali. Ma poi non è detto che sia tutto finito, come argomenta oggi Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera: altre rappresaglie e nuovi attentati sono dietro l’angolo.

Ma al di là degli annunci e delle dichiarazioni di facciata rimangono le terribili immagini di tante persone letteralmente intrappolate a causa in un’offensiva di estrema brutalità e costrette a lasciare la propria città. La conferma di queste atrocità arriva anche dalla denuncia delle Nazioni Unite, che fa riferimento alla fucilazione sul posto di 82 civili, tra cui molte donne e bambini. Insomma, una carneficina in piena regola, veri e propri crimini di guerra compiuti dall’esercito di Assad grazie al sostegno dei suoi alleati, a cominciare da quello russo, da sempre al fianco del dittatore sanguinario di Damasco. “Tutte le strade e gli edifici distrutti sono pieni di cadaveri. È un inferno”, ha scritto l’account Twitter dei Caschi bianchi, un’organizzazione di volontari di difesa civile che opera nelle zone della Siria sotto il controllo dei ribelli.

Le testimonianze sulle atrocità commesse dall’esercito siriano arrivano dalle voci raccolte attraverso twitter e su WhatsApp, come sottolinea oggi sulla “Stampa” Francesca Paci. Eccone alcune: “Il cielo piange per Aleppo con lacrime dolci, è più compassionevole degli esseri umani. Per questo finiremo tutti lassù. Non c’è giustizia se non in cielo” scrive il professore di inglese Abdulkafi. Un altro docente, Wissam Zarqa, registra le sue parole per fare più in fretta: “Sono in un centro medico, ci sono molti feriti ma la struttura non funziona, non c’è riparo, l’artiglieria non dà tregua, non possiamo andare da nessuna parte, le rovine dei palazzi sono la prima linea del fuoco”. Questa invece è la straziante richiesta di aiuto di Fatemah, madre di una bambina di sette anni: “Last Call al mondo. Nessuno ci aiuta, nessuno sta evacuando me e la mia bambina. L’esercito è così vicino. Non so cosa fare, l’unica strada è là, verso il nemico che però temo ci ucciderà”.

Si tratta di voci che difficilmente riusciranno a trovare ascolto tra i potenti della terra, simboli di una sconfitta delle stesse Nazioni Unite, che in Siria hanno mostrato tutta la loro impotenza. Il paragone con altre tragedie del passato viene nuovamente evocato da molti commentatori.

Sul “Guardian” ad esempio Nedžad Avdić un sopravvissuto al genocidio di Srebrenica si chiede come mai quella strage di innocenti oggi non abbia insegnato nulla: “è straziante – scrive – vedere la comunità internazionale voltarsi dall’altra parte mentre in Siria avvengono atrocità così inaudite”. Avdić era poco più che un adolescente quando si è trovato di fronte al peggio dell’umanità. Ricorda la sua casa in fiamme e la famiglia in fuga da Srebrenica, con poche possibilità di sopravvivenza. “Mi ricordo le torture – prosegue – e l’odore del sangue. Non lo sapevo ancora, ma vivevo nel mezzo del peggior genocidio consumato in Europa dopo la seconda guerra mondiale. E poi, mi ricordo le promesse del ‘mai più’. Promesse che arrivarono anche da una dichiarazione ufficiale del Parlamento europeo nel 2005, ma che si sono dimostrate vane, visto quel che è accaduto in questi ultimi mesi in Siria.

L’incapacità da parte dei leader politici di trovare una via di uscita a un dramma come questo rappresenta – conclude Avdić – “un tradimento non solo della gente di Aleppo e la Siria, ma dei sopravvissuti e delle vittime di tutti i genocidi del passato”. Una lezione che purtroppo è servita a ben poco.

(Sebastiano Catte/com.unica, 14 dicembre 2016)

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