Il panorama sociale italiano è cambiato profondamente per effetto della crisi iniziata quasi nove anni fa con la bolla immobiliare negli Stati Uniti e che poi avuto pesanti ripercussioni anche da noi con la brusca caduta del commercio mondiale, un forte calo della produzione industriale e un sensibile aumento della disoccupazione.

Una crisi (gli economisti parlano di grande recessione) che ha messo in ginocchio intere famiglie e ha provocato nuove povertà. Secondo un rapporto pubblicato dall’associazione OpenPolis in collaborazione con Action Aid oggi sono ben 4,6 milioni le persone (quasi l’8% della popolazione residente in Italia) che vivono in condizioni di povertà assoluta. La probabilità di essere poveri è cresciuta soprattutto tra chi si trova ai margini del mercato del lavoro, come i giovani e chi è in cerca di occupazione.

Ma il dato vero che emerge da questo studio è che spesso il lavoro – per come si è configurato dopo la crisi – a volte non è sufficiente per mettere al riparo da ristrettezze e indigenza. Tra le famiglie operaie il tasso di povertà è passato dal 3,9% all’11,7%. In parallelo all’aumento dei poveri, cresce anche il numero di persone che lavorano poche ore a settimana.

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Accanto a tendenze consolidate a livello europeo, si registrano alcune particolarità italiane. Come il più alto tasso di giovani che non studiano e non lavorano e una delle più basse percentuali di donne che continuano a lavorare dopo la maternità. Una combinazione che ha impoverito in particolare le famiglie giovani e numerose. Purtroppo senza risparmiare i più piccoli: sono quasi raddoppiati i bambini sotto i 6 anni che vivono in una condizione di grave deprivazione materiale. In punti percentuali solo Grecia, Spagna e Cipro hanno registrato in Europa un incremento maggiore del nostro a seguito della crisi. Si tratta di numeri che evidenziano come, con la crisi, il problema della povertà si è diffuso più di quanto sia riconosciuto nel dibattito pubblico.

Dopo oltre 8 anni di pesante crisi economica la povertà non può più essere considerata un fatto straordinario, che riguarda un’esigua minoranza di sfortunati. Ha numeri da fenomeno di massa, e il nostro welfare, concepito in un altro momento storico, sembra poco efficace per contrastarla. Poche risorse vengono destinate alle famiglie in difficoltà, ai senza lavoro e in generale alle situazioni di disagio. Le misure contro l’esclusione sociale sono diverse e frammentate, a volte temporanee, prive di un disegno organico che le tenga insieme. Un progetto di legge già approvato alla camera a luglio vuole razionalizzare questi interventi e ricondurli verso una misura universale che, a regime, dovrebbe valere 1,5 miliardi di euro per oltre un milione di persone. Un passo in avanti rispetto agli anni scorsi, ma che esclude ancora oltre 3 milioni di persone.

(Sebastiano Catte, com.unica 14 dicembre 2016)

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