Gianni Mura racconta la storia di Alfred Nakache: la dignità e la resistenza contro la ferocia.

Alfred Nakache si guarda intorno e cerca di scaldare Paule, sua moglie, che tiene in braccio la piccola Annie, due anni. Prime luci di un’alba pesante. Nakache sa di non aver mai fatto nulla di male a nessuno, ma è ebreo. Anche Paule è ebrea. Alfred è nato nel 1915 a Costantina, in Algeria. Da bambino aveva terrore dell’acqua. L’ha vinto buttandosi in una piscina. È diventato un campione di nuoto. S’è trasferito alla piscina del Racing Club di Parigi, se n’è andato perché dalla tribuna riceveva insulti. Parigi è occupata dai tedeschi, Alfred si sposta nella zona libera, a Tolosa. Nuota e insegna nuoto, Paule è la capitana della squadra di basket. Si sono sposati nell’ottobre del 1937. Alle Olimpiadi del ’36, in casa di Hitler, Alfred ci è andato, perché pensava, e anche adesso che il treno sta per partire si sforza di pensare, che lo sport non ha nulla a che vedere con la politica. Si piazza quarto nella staffetta 4×200, con Taris, Cavalero e Talli, proprio davanti al quartetto tedesco. Che anno magico, il ’41: record francese, poi europeo (era del tedesco Balke), poi mondiale, a Marsiglia.

Il cerchio si stringe. Lo aveva già capito nel ’42, quando i giornali collaborazionisti insistevano a scrivere che un ebreo non poteva gareggiare per la Francia. E uno dei più accaniti contro Alfred era Jacques Cartonnet, ex nuotatore, stesse specialità, un idolo per il giovane Alfred, forse meno potente di lui ma più elegante nella bracciata, un cane che latrava, diventato giornalista sportivo, ma poteva anche mordere. Era stato lui a denunciarli direttamente alla Gestapo? Chissà. Un dubbio l’aveva. Sul marciapiede della stazione di Bobigny, Alfred ripensa ai campionati di Francia del ’43. Dovevano svolgersi a Parigi, dove Nakache non poteva metter piede. Il suo club protesta e i campionati sono spostati a Tolosa, con una condizione: che Nakache non partecipi. E lui non partecipa. Ma nemmeno, per solidarietà, tutti quelli, 28, del Toec di Tolosa. E pure altri 12, anche di Lione. Amici, fratelli, a rischio. Il presidente del Toec viene esautorato e sostituito da uno più gradito e vicino ai tedeschi.

I tedeschi sono entrati in Tolosa l’11 novembre del ’42. Nell’estate del ’43 un centinaio di ebrei viene arrestato e deportato. Dall’ottobre del 1940 Nakache non è più cittadino francese. E stato abolito il decreto Crémieux, che dal 1870 concedeva la cittadinanza francese agli ebrei d’Algeria e accendeva il risentimento dei musulmani, che si sentivano cittadini di seconda classe. Dai primi del ‘900 nelle edicole si trovano il settimanale della Lega antisemita, L’antijuif algérien, e poi Le Nouvel antijuife, Le petit antijuif algérien. Nakache aveva voluto che Annie nascesse a Costantina, dove aveva respirato un antisemitismo ancora più forte di quello che lo discriminava in Francia. Pericoloso tornarci, pericoloso restare a Tolosa. C’è una via di fuga verso la Spagna. Ci prova, ma rinuncia e torna indietro quando i pianti della bambina possono portare alla scoperta del gruppo. Questo, almeno, dirà un suo fratello, tanti anni dopo. Da Alfred Nakache, non una parola sull’episodio.

Lui e Paule sono arrestati il 20 dicembre 1943. Il loro appartamento saccheggiato, medaglie e coppe rubate. Hanno affidato Annie a una coppia di amici, ma la bambina viene rintracciata e riunita ai genitori nel carcere di Saint-Michel a Tolosa, poi nel campo di Drancy, infine ad Auschwitz. Il treno numero 66 parte lentamente dalla stazione di Bobigny il 20 gennaio 1944. Il viaggio dura 29 ore. All’arrivo, un soldato indica a Nakache la fila di sinistra, a Paule con Annie quella di destra. Nella confusione l’ultima immagine che gli resta di loro è quella di Paule che sale su un camion con Annie in braccio. Quello che non sanno è che la fila di destra andrà direttamente alle camere a gas, l’altra a lavorare, finché ci riesce. Ad Auschwitz Nakache viene assegnato all’infermeria. L’hanno riconosciuto, sanno chi è, vogliono divertirsi. Come per i pugili organizzano incontri di boxe, per il nuotatore c’è la piscina. Non è una piscina olimpica, non è neanche una piscina, anche se così viene chiamata. E una grande vasca che funge da riserva d’acqua, in caso d’incendio. E lì, nell’acqua sporca, deve tuffarsi Nakache, più volte al giorno, per recuperare gli oggetti lanciati dai soldati. Pugnali, sassi,monete. L’acqua è gelida, e col caldo puzzerà, ma a Nakache non importa, vuole restare vivo e sapere di Paule e Annie.

Parla solo francese, è vicino ad altri internati come il pugile Victor Perez, gli accade di conversare con un italiano che si chiama Primo Levi. Nakache è il prigioniero numero 172763. I tedeschi credono di umiliarlo, ma è lui che li umilia, chiedendo tuffi supplementari, «per allenarsi meglio». È lui che non cede, non si lamenta, sorride spesso. Quando bisogna lasciare Auschwitz perché avanza l’Armata rossa, Nakache è tra i 1.368 che partono a piedi verso Gleiwitz e Buchenwald. Ci arrivano in 47. È stata chiamata la Marcia della morte. Morte di stenti, di fame, di raffiche. Come Perez. A Buchenwald Nakache passa circa tre mesi. E ci resta per qualche settimana anche dopo la liberazione, un po’ perché in infermeria c’è bisogno di lui, un po’ perché spera di avere notizie sulla famiglia. Non ne ha.

Quando torna in Francia pesa 40 chili, era più di 80, e soffre per un ascesso all’orecchio. La sua casa è quella di Alex Jany, amico fraterno e compagno di staffetta. Scopre che, credendolo morto, gli è già stata intitolata, un anno prima, la piscina di Tolosa. Ogni mattina, per settimane, va alla Gare Matabiau nella speranza di rivedere Paule e Annie, fino a che non si convince che sono morte. Jany e gli altri amici di Tolosa gli sono molto vicini, gli fanno riprendere un po’ alla volta il peso perduto, lo spingono ad allenarsi. E Nakache, dopo tutto quello che ha passato, è ancora capace di un record mondiale della 3×100 mista, nell’agosto del ’46 con Jany e Vallerey, vince titoli nazionali, è selezionato per le Olimpiadi del 1948, da cui la Germania è esclusa. Gareggia nei 200 farfalla arrivando alle semifinali e nella pallanuoto (sesto posto, vinse l’Italia di Cesare Rubini).

Per tutti, Nakache è “il nuotatore di Auschwitz”, la dignità e la resistenza contro la ferocia. In una bella favola avrebbe vinto una medaglia, ma la vita è un’altra cosa. Lui l’ha rimessa insieme, smette di gareggiare, fa il massaggiatore per i calciatori del Tolosa, nel ’50 sposa Marie, una ragazza di Sète, e va a vivere li, in una casetta in riva al mare. Per cinque anni insegna nuoto a Réunion e non perde l’abitudine, tornato in Francia, di una nuotata tutti i giorni. Un attacco di cuore lo uccide mentre sta nuotando nel golfo di Cerbère, il 4 agosto 1983. Di lui i compagni di grandi tavolate hanno detto che camminava come Charlie Chaplin e aveva la risata di Henri Salvador. È sepolto a Sète nel cimitero di Py, che non è quello cantato da Valery ma l’altro, dov’è sepolto anche Georges Brassens. Sulla tomba aveva disposto che fossero incisi anche i nomi di Paule e Annie.

Molte piscine gli sono intitolate. A Montpellier, a Nancy, a Belleville. Quanto a Cartonnet, condannato a morte nel ’45 in contumacia non per l’attività giornalistica ma per collaborazionismo e omicidio plurimo, fu arrestato a Roma nel ’46, ma riuscì a fuggire dall’aereo militare coi motori già accesi che doveva riportarlo in Francia. Attraversò di corsa la pista con le manette ai polsi e saltò su un mezzo pubblico. Non aveva documenti né denaro, qualcuno lo avrà aiutato. Arrestato di nuovo a Foligno a fine ’47 e collocato nel campo di Fraschette riuscì a scappare anche da lì. Poi, mistero. Pare che sia morto nel ’67, in Italia, nascosto in un monastero.

(Gianni Mura, Il Venerdì-Repubblica, 23 dicembre 2016)

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