Il celebre sceneggiatore iniziò la carriera sui quotidiani del Ventennio con articoli capolavoro, che oggi ci sogniamo.

Uno pensa ai quotidiani e alle riviste e agli intellettuali dell’epoca fascista e si immagina un mortorio di regime, invece è sempre una sorpresa: il mortorio, al confronto, è oggi.

C’erano non solo l’immaginifico D’Annunzio e il futurismo marinettiano. Basti pensare a quanto scrivevano Curzio Malaparte, Achille Campanile, Elio Vittorini, Luigi Pirandello, Ennio Flaiano, Leo Longanesi, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia e tanti altri. E, tra i tanti altri di spicco, il futuro padre del neorealismo, Cesare Zavattini, di cui Bompiani ripubblica Al macero, raccolta di interventi, elzeviri, racconti, aneddoti, usciti tra il 1927 e il 1940 (sebbene lui avesse poco interesse a un libro del genere, perché pensava «io postumo non mi interesso»).

Non solo uno sceneggiatore, non solo un giornalista nato («Giornalista si nasce: un uomo che cammina nella nebbia è, per voi, un uomo che cammina nella nebbia. Per me, invece, è un fatto di cronaca. Due anni fa caddi in una pubblica via. Prima di alzarmi estrassi il taccuino per segnarmi l’ora esatta e il luogo»), ma uno straordinario scrittore, un umorista sopraffino. Ditemi voi dove trovate, su un quotidiano di oggi democratico e non fascista, un articolo simile a quello in cui Zavattini, con stile paradossale, alla Jonathan Swift, elogia lo sterminio delle zanzare come passatempo prediletto, tenuto conto che «al dì d’oggi, la protezione delle bestie è un sentimento raro e cristiano più dell’amore verso gli uomini». L’animalismo estremo è storia vecchia. Oppure dove immagina un paese chiamato Senzastagione, che sembra molto l’Italia di oggi, e in cui le recensioni vengono scritte prima dei libri. «Qui da noi, per amore del vivere quieto, le recensioni precedono la pubblicazione, anzi la creazione delle opere letterarie. Il pregio dell’autore sta nel comporre un lavoro, il men possibile lontano dal giudizio del critico, stroncatore o no che sia». Esattamente come fanno i nostri letterati da Premio Strega o Campiello o Viareggio e chi più ne ha più ne scampi.A proposito di letterati, è fantastico Zavattini che spiega come stilare un almanacco letterario, «con l’angoscia nel petto per dover illustrare le gesta dei vostri avversari e sottacere le vostre». La soluzione è vendicarsi con le fotografie, perché «a un collega si può togliere le gambe, una spalla, il torace». La graduatoria degli autori? Strettamente legata al corso degli anni e mutevole, perché un almanacco letterario è un fatto di cronaca, non di Storia, per cui da un anno all’altro «da illustrissimo si scende a noto, e qui fino al nome e cognome, soli soletti. Ma viene una grande tristezza in questi casi». La ricetta è comunque questa, attualissima: «Un almanacco letterario si compila così: mescolando al transitorio il duraturo, accoppiando il grande al mediocre. Solo il tempo restituisce le proporzioni, fa tornare dal nulla strani personaggi e cambia in ombra a volte chi pareva memorabile».

Zavattini imperversa su qualsiasi argomento, dalle bugie, in media settantadue al giorno per ogni persona (citando lo scienziato Stanin), inclusi i saluti e gli auguri (pensiamo a tutti i «come stai?», «bene»); al problema di conoscere l’ora esatta, proponendo di affidare il compito ai mendicanti (si fa l’elemosina e il mendicante vi dice l’ora esatta, preventivamente munito dallo Stato di un orologio di precisione), fino all’annosa questione dell’adulterio. Un adulterio tutto femminile e forse perfino femminista e per niente mussoliniano, istituito per legge. Infatti «Se tutti i mariti del globo fossero traditi e a loro fosse nota l’universalità dell’accaduto, nessuno di loro protesterebbe: poiché male comune non è male».

Infine, nella società dell’uomo duro e forte e combattente, Zavattini butta lì una magnifica distopia, immaginando un mondo dove sono tutti malati, pura poesia. «Se al mondo fossero soltanto malati, quale dolcezza. Le strade piene di carrozzine con le ruote di gomma o di amache stese tra un muro e l’altro; tutti camminerebbero in punta di piedi e si vedrebbe spuntare qualcuno ogni tanto dagli angoli delle strade con una rosa in mano; i tram andrebbero adagio per non far prendere le scosse e seduti sulle panchine dei giardini pubblici signori offrono l’un l’altro il proprio termometro, prego lo provi. Termometri incrostati di pietre preziose, termometri d’oro doublé». Ah, signore mie, che fantasia, che leggerezza, che profondità durante il fascismo!

Massimiliano Parente, IL GIORNALE, 21 dicembre 2016

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