Strage di Capodanno a Istanbul: è caccia ai killer
La Turchia, un paese dal futuro sempre più incerto, stretta tra due fuochi e rifugio naturale per i foreign fighters provenienti dalla Siria.
Le autorità turche sono alla ricerca del killer che la notte di Capodanno, a Istanbul, ha fatto irruzione nella discoteca Reina Club sparando sulla folla e provocando la morte di almeno 39 persone (24 stranieri) e oltre 70 feriti. La polizia ha diffuso le foto del presunto attentatore, anche se resta l’ipotesi che possa essersi trattato di un commando (Corriere). Al momento non ci sono state rivendicazioni ma gli inquirenti starebbero seguendo la “pista asiatica” escludendo di fatto la matrice curda. La dinamica fa pensare ad un attacco jihadista (Cnn). Secondo alcuni racconti il killer, mentre sparava, avrebbe urlato “Allah Akbar”.
Quello di Capodanno è l’ultimo di una lunga scia di attentati che ha colpito la Turchia negli ultimi mesi, l’ultimo dei quali è stato il doppio attacco dinamitardo fuori dallo stadio di calcio del Besiktas compiuto lo scorso 12 dicembre, che ha provocato la morte 44 persone. Secondo Alberto Negri (Sole 24 Ore) il Paese paga “la retorica e le azioni” di Erdogan. Dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio scorso le purghe hanno decimato le forze armate e quelle di sicurezza. “La Turchia – scrive – è un Paese che oscilla pericolosamente verso una deriva mediorientale dove è stata trascinata dalle spericolate iniziative di Erdogan che voleva abbattere Assad aprendo cinque anni fa “l’autostrada della Jihad” e ora ha dovuto mettersi d’accordo con Putin e l’Iran per salvaguardare i suoi vulnerabili confini”. Per Bernardo Valli su Repubblica si tratta della “vendetta degli ex amici” del rais. Che ha aiutato i ribelli anti-Assad per poi abbandonarli quando “è sembrata più efficace l’alleanza con Russia e Iran”. “Il sultano – scrive Guido Olimpio sul Corriere – traditi gli alleati estremisti, si ritrova il terrorismo in casa”.
Su La Stampa Nihat Ali Ozcan, uno dei massimi esperti di sicurezza nel Paese – intervistato da Marta Ottaviani – spiega come il quadro internazionale non aiuti la Mezzaluna, ma come le responsabilità siano anche politiche. Turchia è insomma un paese dal futuro molto incerto, stretta tra due fuochi. “La posizione geografica può essere un punto a favore, ma anche un guaio – afferma Ali Ozcan. “E la Turchia con la sua posizione è il rifugio naturale per i foreign fighters provenienti dalla Siria, con tutto quello che ne consegue sulla sicurezza del Paese. L’attentato al Reina purtroppo non sarà l’ultimo”. Il paese sta dimostrando in queste ore di avere serie difficoltà a contrastare il terrorismo, di qualsiasi tipo esso sia. “Manca un piano strategico a largo spettro, ci sono delle mancanze nei protocolli di sicurezza ed errori elementari – sottolinea ancora l’esperto. “A furia di dare la caccia ai seguaci di Fethullah Gulen (ex alleato e ora avversario di Erdogan, accusato di essere il mandate del golpe fallito dello scorso 15 luglio, ndr), si è trascurato tutto il resto”.
(com.unica, 2 gennaio 2017)