La Bibbia, le sue storie più celebri e i suoi personaggi: Antonio Gnoli intervista per Repubblica lo studioso di ermeneutica biblica Haim Baharier

Alcuni episodi della Bibbia ci sono oltremodo familiari. Averne più volte sentito i racconti, invece di stancarci ci colloca su quel crinale in cui l’attesa si mescola alla curiosità intellettuale nei riguardi di un Dio che apparentemente regola tutte le mosse di una storia. Qual è allora la nostra libertà di lettura? Come interpretare, ad esempio, il sacrificio di Isacco? O in che modo accogliere l’insensata e infinita costruzione di una Torre che prenderà il nome di Babele? Haim Baharier, le cui origini polacche e francesi sono cresciute nelle radici del mondo ebraico, da anni pratica una esegesi biblica di particolare efficacia, dove cabala e commento talmudico si intrecciano vertiginosamente. Egli terrà una serie di lezioni al Teatro Eliseo di Roma, a partire da dopodomani: «Nella Torah», mi dice, «ci sono due volti che si fronteggiano, ogni tanto si sfiorano, ogni tanto si allontanano, qualche volta si fondono: quello narrativo e quello normativo». Si tratta, come vedremo, di una distinzione carica di conseguenze.

Vuole spiegare cosa rappresentano questi due volti? «Vi è spesso tra le narrazioni bibliche e le regole comportamentali molto concrete, che la Bibbia indica, un cortocircuito logico. Pensiamo alla narrazione della nascita di Isacco, la madre Sara ha 90 anni, il padre Abramo 100. Una nascita miracolosa, che ha come conseguenza il nome stesso del nascituro, che significa “colui che riderà” ».

Come interpretarlo? «Io parto da una considerazione che non ha nessuna evidenza apparente, ma che si nutre di numerosi indizi: Isacco è un disabile. Per questo la gente ride di lui. Perfino Ismaele, il fratello più grande, ride di lui».

È un riso di scherno? «Certo, ma il riso domina tutto il racconto. Anche Sara ride quando le annunciano che a 90 anni avrà un figlio. Ma lei accetterà rapidamente la condizione del figlio. Abramo no. È tormentato e alla fine deciderà di sopprimerlo. A quell’epoca in Mesopotamia non erano affatto eccezionali i sacrifici umani di bambini, molto spesso disabili ».

Però Abramo prende quella decisione estrema perché una voce glielo ordina. È Dio o una sua allucinazione? «Gli anni di Isacco, ormai trentenne, raccontano soprattutto il lungo processo di degenerazione psicologica del padre la cui conclusione è che il modo migliore per compiere il figlicidio è imputarlo all’Onnipotente».

Quale possibile conclusione trarne? «Un commentatore hassidico ha letto nel racconto l’assoluta fiducia, nonostante tutto, di Isacco nel riguardi del padre, del figlio dell’uomo nel genere umano, del popolo ebraico nei confronti dell’umanità. Ai miei occhi prefigura la speranza nel genere umano dalla quale il popolo ebraico non deroga mai».

Due storie diciamo pure di degenerazione umana sono per un verso la storia del Diluvio universale e dall’altro la Torre di Babele. Che ruolo occupano nella Bibbia? «Da un lato c’è l’umanità che verrà annegata nel Diluvio universale e dall’altro c’è Noè che si salverà in un’Arca. Cosa rappresenta quest’Arca? Arca, in ebraico Teva, significa anche parola. Nel testo si rapportano le misure dell’Arca: altezza, lunghezza, larghezza i cui valori numerici (in ebraico le lettere fungono anche da numeri) corrispondono alla parola “linguaggio”. Noè che si salva è l’antenato di Abramo che, attraverso il linguaggio e la parola, inaugura l’identità ebraica. In questo senso, la storia del Diluvio e della salvezza, rappresentano le origini arcaiche di questa identità ».

È dunque un atto fondativo? «Sì. E come ogni atto fondativo richiede la nascita di un nuovo linguaggio. Il vecchio linguaggio è servito ad aggirare la punibilità delle leggi. A coprire la verità e non a svelarla. Oggi conosciamo perfettamente cosa sia la manipolazione del linguaggio, l’uso delle parole che ci allontanano dal vero».

Quindi il naufragio di cui parla la Bibbia ha qualcosa in comune con il nostro naufragio? «Il grande naufragio del nostro mondo ha molto a che vedere con il Diluvio. La storia del Diluvio è comune a moltissime civiltà e religioni. Tuttavia la narrazione biblica si differenzia dalle altre in quanto insiste sul come ci si salva dalla catastrofe».

Dopo il Diluvio abbiamo la storia della Torre di Babele. Che significa questa successione? «Rafforza la storia precedente. Il testo biblico parla di una città in costruzione i cui costruttori sembrano prigionieri di un linguaggio composto da parole uniche comuni. Questa città che non riconosce le virtù della diversità, non vi sono lingue differenti. C’è una lingua verticale, monolitica e minacciosa che impedisce lo sviluppo orizzontale delle lingue plurali. La Torre di Babele in ultima analisi mostra la nascita del linguaggio assolutistico. In quel linguaggio sono già presenti in fieri tutti i totalitarismi e fascismi della Storia. La Torre di Babele è la fine dell’illusione del “come sarebbe bello se parlassimo tutti la stessa lingua”. No, non è bello affatto, annulla il tempo della riflessione, dell’apprendimento, del dubbio, della contraddizione. La diffusa incomprensione nel nostro mondo connesso nella Rete è la versione attuale della Torre di Babele. Siamo nuovamente piombati nell’ignoranza della differenza tra linguaggio e lingua, tra coscienza magica e coscienza critica».

Cosa intende per coscienza magica? «La coscienza magica non dà spazio alle interpretazioni, non conosce dubbi. La percezione del mondo è nell’ordine dell’abracadabra, è scritto così quindi è così. La coscienza magica è la madre di tutti i totalitarismi e ha contaminato, in gradi diversi, tutti i monoteismi. I saggi cabalisti leggono il mondo come un immenso intreccio di lettere, un linguaggio che spetta all’uomo decifrare e trarne una lingua per comunicare. La coscienza evoluta estrapola parole, frasi, paragrafi, storie che a loro volta comporranno la storia dell’umanità».

La coscienza magica è l’altra faccia del fondamentalismo… «È il prolungamento acritico di una presunta volontà divina del braccio del terrorista che uccide. L’Isis è un chiaro esempio di coscienza magica, di manipolazione delle coscienze attraverso il conformismo dogmatico. Non conosciamo le reali motivazioni dell’Isis, al di là di fatti economici ed espansionistici, sappiamo che si esplicitano attraverso un dogmatismo che affascina la coscienza magica, imperante non solo nelle società mediorientali ma in forme attutite e meno evidenti anche nelle nostre società».

A cosa pensa? «A questi anni trascorsi sotto il segno di una finanza magica che fideisticamente prometteva di arricchire tutti e non ha fatto altro che spogliare l’uomo dei suoi beni».

Antonio Gnoli, LA REPUBBLICA 20 gennaio 2017

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