“Patria o Muerte!”, la rivoluzione del Lider Maximo
Unico monarca comunista al mondo, abile equilibrista, tra il giogo americano e i tentacoli sovietici.
Il 16 febbraio è stato l’anniversario della nomina di Fidel Castro a Primo Ministro di Cuba. Aveva trentatrè anni quando assunse la guida del paese, potere che manterrà per oltre cinquant’anni, fino al 2008 quando lasciò tutti gli incarichi per motivi di salute. Si spense il 25 novembre 2016, all’età di novant’anni.
Fidel Alejandro Castro Ruz è stato un uomo controverso, temuto odiato e amato, per alcuni un grande riformatore, per altri un tiranno che ha privato i Cubani dei diritti umani. Di sicuro si battè con accanimento contro la disuglianza, l’arretratezza, la povertà, la malnutrizione, la mortalità infantile. Si battè contro il capitalismo, la frode e la corruzione. Lottò contro l’imperialismo degli Stati Uniti, che aveva ridotto Cuba a essere una specie di boudoir, rifugio di avventurieri, gangsters, fannulloni e prostitute, bianche e nere. Un paese senza garanzie costituzionali, dove si moriva ogni giorno senza giustizia. Terra di rum, di zucchero, di latifondi e di miseria. Terra di soprusi, di lotte operaie e di colpi di Stato. Fu il protagonista della Rivoluzione Cubana contro il regime di Fulgencio Batista. Avviò la Riforma Agraria e si batté contro l’analfabetismo. Nazionalizzò le industrie e confiscò le proprietà straniere.
Dal 1961 al 2011 fu primo segretario del Partito Comunista di Cuba. Un lungo impegno politico, quello di Fidel, che ebbe le sue radici nei libri di Josè Martì – un letterato indipendentista, liberale, diventato eroe nazionale – e che iniziò nel 1945 all’Università dell’Avana, quando si iscrisse alla facoltà di diritto. L’ateneo era molto politicizzato e Fidel entrò in contatto con gruppi antimperialisti che si schieravano apertamente contro la dominazione economica degli Stati Uniti, colpevoli di aveva sottratto a Cuba la sua indipendenza. Erano i tempi del presidente Ramón Grau San Martín, la cui posizione fu determinante per l’approvazione della Costituzione, entrata in vigore il 10 ottobre 1940. Con essa si chiuse un periodo di rivolte studentesche, disordini politici, scioperi degli operai dello zucchero, rivolte armate e repressioni sanguinose, che culminarono nel 1933 con l’esilio del Presidente Ricardo Machado, il quale fu sostituito da Carlos Manuel de Céspedes y Quesada. A settembre dello stesso anno la Rivolta dei Sergenti, capeggiata da Fulgencio Batista, depose Cespedes. Batista governò la politica cubana per i successivi venticinque anni, attraverso una serie di presidenti- fantoccio. Tra il 1933 e il 1937 ci fu una incessante guerra politica e sociale. Nel 1940 Batista divenne Presidente e stabilì un legame con gli Stati Uniti. Le critiche alla Costituzione gli impedirono di essere rieletto e nel 1944 vinse le elezioni Ramón Grau San Martín. Nonostante il gran numero dei delegati rappresentasse la maggioranza della borghesia nazionale, il testo della Costituzione era progressista e garantiva i diritti individuali e sociali di tutti, senza distinzione di razza e di colore: tra questi, riconosceva alle donne i diritti civili, eliminava il latifondo e obbligava lo Stato a tutelare il lavoratore, con la creazioni di fondi d’impiego, stabilendo il salario minimo per gli operai, il diritto di riposo, l’assicurazione sociale di vecchiaia, invalidità e infortuni sul lavoro. Il Paese era in uno stato di sottosviluppo cronico, l’economia era sfiancata dalla monocoltura della canna da zucchero, ovunque regnava la corruzione e la miseria. Batista tornò al potere nel 1952 con un colpo di Stato, sospese le garanzie costituzionali, assoldò gruppi di gangsters e fece assassinare chiunque si opponesse, o fosse solo sospettato di opporsi, al suo regime, avviando vere e proprie esecuzioni di massa, con l’appoggio ufficiale degli Stati Uniti.
Il 26 luglio 1953, nel centenario della morte di José Martì, Fidel Castro con 160 ribelli mal organizzati e mal equipaggiati, armati per lo più di fucili da caccia, guidò l’assalto alla caserma Moncada di Santiago de Cuba. L’attaccò fallì e molti rivoltosi furono catturati, torturati e uccisi. I superstiti furono condannati al carcere duro. Famosa l’autodifesa di Fidel durante il processo – Condannatemi, ma la storia mi assolverà – in cui attaccò il regime di Batista, rivelandone la corruzione e la crudeltà. Fu liberato nel 1955 in seguito ad una amnistia e riparò in Messico. Qui diede vita al Movimento 26 luglio e con il fratello Raul riorganizzò la battaglia contro la dittatura, con l’appoggio di un gruppo di volontari, tra i quali Ernesto “Che” Guevara, l’italiano Gino Donè Paro, Celia Sanchez e Camilo Cienfuegos. Nel 1956 Fidel Castro acquistò un battello, il Granma, a metà con Antonio del Conte, detto el Cuade, e il 25 novembre, con 82 persone a bordo, raggiunse Cuba, dando inizio alla rivoluzione. Ci furono scontri con l’esercito riportando grandi perdite. Restarono in undici e dovettero nascondersi nella Sierra Maestra. Qui si riorganizzarono anche grazie al consenso popolare, all’appoggio dei contadini, ai soldati che disertarono per arruolarsi tra le fila della rivoluzione. Fu decisiva la battaglia di Santa Clara, il 30 dicembre 1958, in cui gli uomini guidati da Ernesto “Che” Guevara, Roberto Rodriguez Fernandez – detto el Vaquerito – e Rolando Cubela, ebbero la meglio sui batistiani. Fulgencio Batista, ormai sconfitto, fuggì la notte di capodanno con un piccolo aereo diretto negli Stati Uniti, portando con sé tutto il denaro e l’oro delle riserve nazionali. Il 1 gennaio 1959 iniziò la marcia trionfante di Fidel Castro e dei Barbudos – come erano chiamati i rivoluzionari – verso la capitale, l’Avana.
La Revolucion aveva vinto. Essa nacque da un diffuso e vaso sentimento anti-batista e poggiò su di un substrato sociale antiamericano, che chiedeva la fine del razzismo e giustizia per il popolo. Gli abitanti delle campagne vivevano in precarie condizioni igieniche e nella miseria, in capanne dai tetti di foglie di palma e pavimenti di terra, senza elettricità. In città, nelle periferie proliferavano le bidonvilles, mancava il cibo e il lavoro. La rivoluzione, il sovvertimento, il cambiamento, fu avviato dal ceto medio, dalla borghesia, da quelle classi colte che interpretarono le esigenze della ribellione.
Cuba, la zuccheriera del mondo, ha sempre lottato per la sua indipendenza. Fu per quattrocento anni un possedimento spagnolo, caratterizzato da malgoverno, ruberie e soprusi. I conquistadores sterminarono gli indios e non ne rimase traccia nei gruppi etnici che popolarono l’isola: bianchi, mulatti, neri. A partire dal XVII secolo e fino alla fine del XIX, l’economia cubana fu caratterizzata dallo sfruttamento dei neri ridotti in schiavitù, usati nelle piantagioni di canna da zucchero. Dalla colonizzazione di Diego Velasquez fino all’ultima tratta di schiavi nel 1873, a Cuba furono introdotti in tutto oltre un milione di neri. Nel 1817 l’Inghilterra ottenne dalla Spagna la ratifica di un accordo per l’abolizione della schiavitù che entrò in vigore nel 1820. Tuttavia la tratta continuò illegalmente. Con l’aumento dello sfruttamento degli schiavi nelle piantagioni scoppiarono numerose rivolte e ribellioni, spesso sedate nel sangue. Con l’emancipazione i neri si spostarono nei quartieri più poveri delle città, dove conservarono il folklore e le tradizioni africane. A poco a poco la borghesia cominciò ad essere insofferente verso il governo spagnolo e scoppiarono due guerre di indipendenza: la Guerra dei Dieci Anni (1858-68) e la Piccola Guerra (1879-80), vere e proprie rivolte armate. La fine del colonialismo spagnolo avvenne per mano degli Stati Uniti i quali, dopo una guerra lampo di quattro mesi, ottennero come risarcimento l’Isola di Guam, Porto Rico e le Filippine. Per abbandonare l’arcipelago chiesero che fosse inserito nella prima Costituzione l’Emendamento Platt, che di fatto controllava e condizionava l’economia dell’isola. Agli Stati Uniti inoltre furono concesse due isole: l’Isola dei Pini, restituita a Cuba nel 1925, e Guantanamo, ancora oggi occupata dagli USA. Il primo Presidente della Repubblica, nel 1902, fu Thomas Estrada Palma, uomo di fiducia degli Stati Uniti.
All’inizio del suo governo, Fidel Castro lanciò la campagna di alfabetizzazione, la moralizzazione della vita pubblica, il rilancio dell’edilizia popolare e la riforma sanitaria. Avviò la Riforma Agraria e il programma di ridistribuzione della terra, che non prevedeva inizialmente l’esproprio, ma consentiva fino a duemila ettari di proprietà privata. Purtroppo le cose cambiarono e il governo rivoluzionario irrigidì le proprie posizioni in seguito alle azioni di guerra, ai sabotaggi e alla lotta clandestina nelle montagne dell’Escambray, in cui si rifugiò un gruppo di rivoltosi cubani anticastristi sponsorizzati dagli USA. La situazione precipitò nel 1961, quando il presidente J.F. Kennedy, sobillato da fuoriusciti ed esiliati cubani manovrati dalla CIA, tentò la disastrosa occupazione della Baia dei Porci, per avviare la controrivoluzione sull’isola. A questo punto Cuba finì sotto l’ala protettrice sovietica. Il 25 aprile 1961 Kennedy decretò l’embargo totale a Cuba, ancora oggi in vigore, per spezzare l’alleanza con la Russia. L’economia cubana fu soggetta all’Unione Sovietica, che però la sostenne con sostanziosi contributi. L’embargo americano continuò a provocare danni economici all’isola, nonostante i notevoli progressi in campo sanitario e nell’alfabetizzazione. Il regime cubano oggi è in continua trasformazione, anche se molti continuano a sollevare la questione delle ridotte libertà di stampa e di espressione, tanto da considerare lo stato cubano ancora repressivo e dittatoriale. Alla morte di Fidel il timone è passato al fratello Raul, che sta lanciando segnali di apertura e distensione. Nel 2014 il presidente americano Barak Obama ha espresso la volontà di sospendere l’embargo commerciale con l’isola. Da scoprire le reali intenzioni del presidente neo-eletto Donald Trump.
(Nadia Loreti, com.unica 22 febbraio 2017)