Uno, cento, mille Sgarbi. E lui a goderseli in platea…
Amici e colleghi lo raccontano nella serata “Diversi Sgarbi”, ma l’Ego del critico sta stretto perfino in questo labirinto. Il racconto di Luigi Mascheroni per “Il Giornale“.
A ognuno il suo Vittorio. A noi è toccato Sgarbi. Sessantacinque anni, e sentirli tutti. La sua fidanzata storica, Sabrina Colle, una volta gli ha urlato: «Ti ho conosciuto che eri giovane, bello, famoso e ricco. Guardati: oggi sei vecchio, noioso, ingobbito e pieno di querele». Ha le sue ragioni. Sessantacinque anni sono tanti: un paio di milioni di chilometri vissuti in macchina da Nord a Sud del patrimonio artistico italiano, migliaia di mostre curate e viste, almeno un paio di anni totali in diretta tv, e poi convegni, litigi, polemiche, pasti mangiati male e notti dormite peggio, donne inseguite, abbandonate e amate, figli lasciati per i fatti loro, centinaia e centinaia di pezzi scritti e letti, libri «di» e «su» di lui Un altro avrebbe ceduto. Lui, a suo modo, resiste. La sua vita è una festa ininterrotta. Buon compleanno, Vittorio.
Sgarbi compie 65 anni. E cosa gli hanno organizzato (su suo suggerimento, naturalmente)? Un convegno-evento a Fontanellato, Parma, dentro il Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci. Un posto pieno di magia e di arte. Proprio come lui. Pensato dalla comunità buddista del Tempio Soto Fudenji – solo i buddisti, con la loro pazienza millenaria, possono sopportarlo per un’intera giornata l’evento «Diversi Sgarbi» ieri pomeriggio, dalle 17 no-stop (noi abbiamo mandato il pezzo alle 21, dopo non sappiamo cosa sia successo…) ha radunato tutti gli amici e i nemici di Vittorio Sgarbi. Annunciati da una batteria di tamburi giapponesi taiko che ha cadenzato l’entrata del Vate con la sua corte, nella grande sala «Calvino» del Labirinto si sono alternati tre minuti rigorosi a testa, decapitati da un sonoro gooooong!!!! che non suona mai però tutti gli intellettuali & affini che da anni formano il Grande Circo «Vittorio Sgarbi»: artisti, giornalisti, scrittori, pornostar, imprenditori, galleristi, registi, chef, amanti, sorelle Ognuno a dire la sua, pro e contro. «Diversi Sgarbi», appunto… E lui – nemesi di una vita a parlare senza essere interrotto – silenzioso, in sala, seduto tra il pubblico, condannato ad ascoltare (ma naturalmente non ce la fa: interviene, corregge, aggiunge, commenta…). L’abate del Tempio Soto Fudenji, il reverendo Fausto Guareschi (siamo pur sempre nella Bassa), dice che Vittorio Sgarbi ormai in profumo di buddità – è inconsapevolmente un teologo Zen. Molto inconsapevolmente, forse sì.
Individualista metodologico, anaffettivo passionale, egotista (ma non egoista), caravaggescamente Narciso. Sgarbi odia ricordare il passato (ma non dimentica niente), per lui – veloce com’è il presente è già preistoria. E il futuro – per ciò che lo riguarda – è solo quello che ha appena finito di fare. Non ha alcun senso dell’amicizia, di per sé. Ma moltissime persone lo considerano un amico. Nessuno lo sopporta, ma tutti gli vogliono bene.
Eccoli, tutti coloro che gli hanno voluto, gli vogliono e gli vorranno bene. Silenzio. Arriva Oscar Farinetti («Perché avete invitato me? Se c’è uno che non capisce nulla di cibo è Sgarbi trangugia tutto in sei minuti e non distingue cosa è buono e cosa no»), lo chef Fulvio Pierangelini («Mi chiama per prenotare a mezzanotte, poi arriva alla una e mi dice: Io visito i musei di notte, e tu per me sei un bene culturale»). Ci sono cori, applausi, risate, urla quando sembra che la Spal (Sgarbi è di Ferrara) salga in A. C’è Camillo Langone («Sgarbi è l’unico che conosce tutta l’Italia, dal Brennero a Lampedusa: se c’è una pala d’altare nell’ultimo paesino d’Italia, lui c’è passato. È stato a Treviso 256 volte»). Zitti. C’è Jas Gawronski. C’è Philippe Daverio («Io mi occupo di arte per sopravvivere, lui per passione»). C’è Luca Nannipieri, che ha appena scritto un libro su di lui («Gli è piaciuto così tanto che mi ha chiamato il suo avvocato»). C’è l’editore-critico Fabio Canessa («Le due parole che fanno più schifo a Sgarbi sono carriera e pensione», e ha ragione). C’è Carlo Vulpio («Bello questo funerale in vita…»), che con Sgarbi naufragò in un’epica trasmissione Rai, chiusa alla prima puntata, anno di scarsa grazia 2011 C’è Vittoria Risi, che Sgarbi espose completamente nuda in una celebre Biennale. Qui però purtroppo è vestita. La sala è strapiena, e fa caldissimo.
Gigantografia verbale di Vittorio Sgarbi scattata delle persone che lo conoscono meglio, la giornata-anniversario è una celebrazione in vita di un uomo che teme così tanto la morte da non voler rinunciare a nemmeno una sfumatura dell’esistenza. Desidera avere tutti i quadri possibili, tutte le donne che incontra, tutti i libri che si stampano, tutti i programmi tv che si producono, tutti i palcoscenici che si posso calpestare.
Sul palco c’è chi racconta della gioia (o incubo?) di vedere una sua chiamata sul cellulare alle tre del mattino, chi ricorda i suoi tour de force notturni in giro per chiesette e centri storici, c’è chi cita le sue battaglie da Don Chisciotte per difendere il Bello in Italia, chi si presenta come pusher («Lavoro per una casa d’aste, fornisco Sgarbi di libri e manoscritti»), c’è Roberto D’Agostino, c’è Giuseppe Cruciani («La sua è adrenalina, non cocaina»). C’è Morgan («Garantisco io!»). C’è Barbara Alberti, la sua prima biografa, ci sono illustri studiosi e ancora più illustri sconosciuti. Ci sono monaci, fotografi e starlette. Piedi nudi e tacchi da maiale. Citazioni colte, hashtag e aneddoti indicibili.
Ma c’è veramente bisogno di studiare Vittorio Sgarbi? «Insegnare senza volere insegnare niente, è l’unico modo per far apprendere qualcosa». Lo ha detto il monaco buddista. L’eccesso, l’esuberanza, lo strepito, il desiderio. E l’arte che esprime tutto ciò che c’è di migliore nell’uomo. Si è visto e si è sentito di tutto, ieri pomeriggio, dentro il Labirinto della Masone, Fontanellato, Parma: un luogo, essendo appunto un labirinto, che racchiude ogni cosa. Ma appare un po’ piccolo per rinchiudere l’Ego di Vittorio Sgarbi.
A proposito. Auguri.
(Luigi Mascheroni, IL GIORNALE 9 maggio 2017)