Per una medicina dal volto umano, un convegno a Sassari
L’umanizzazione delle cure in ambito sanitario: è questo il tema della giornata di studi che si terrà presso la Camera di Commercio di Sassari venerdì 26 maggio con inizio alle ore 16. Il convegno, che sarà moderato dal professor Andrea Montella (Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Sassari) e dal dottor Salvatore Salis (Coordinatore del tavolo tecnico della Regione Sardegna per le Cure Palliative e Direttore dell’Hospice di Nuoro) ha la qualifica di evento ECM, accreditato presso la Commissione Nazionale del Ministero della Salute.
Per umanizzazione delle cure si intende l’attenzione posta alla persona nella sua totalità in un mondo sanitario che sembra aver perso questa fondamentale dimensione di assistenza: è un’esigenza che segna il passaggio da una concezione del malato come mero portatore di una patologia ad una come persona con i suoi sentimenti, le sue conoscenze, le sue credenze rispetto al proprio stato di salute. Le recenti scoperte in campo medico-scientifico e la conseguente iperspecializzazione ci permettono oggi di trattare patologie una volta incurabili, ma spesso restano disgiunte, nella quotidianità della pratica clinica, dalla necessaria consapevolezza dell’importanza degli aspetti relazionali e psicologici legati all’assistenza, senza riuscire a cogliere l’interiorità irripetibile di ogni essere umano. Da qui l’attenzione verso una medicina in grado di accompagnare i pazienti e la famiglia lungo il percorso della malattia, in cui il malato dovrà essere considerato non come un insieme di organi ma come soggetto umano completo.
Salvatore Salis auspica che vi sia anche da parte della politica e delle direzioni sanitarie una maggiore sensibilità rispetto a questi temi, iniziando a mettere al centro dei piani strategici il concetto della umanizzazione e contribuire così a creare una sanità davvero moderna. Lo scopo del convegno è proprio quello di ribadire e approfondire questi concetti e mettere i discenti nelle condizioni di acquisire strumenti in grado di sviluppare competenze che consentano di attuare una relazione di cura adeguata all’umanità sofferente. Un approccio decisamente interdisciplinare: non è un caso che tra i relatori, oltre a medici e docenti nel campo della salute, figurino così anche dei filosofi, come i ricercatori Luca Nave dell’Università di Torino e Fabrizio Arrigoni dell’Università di Brescia, che da anni focalizzano i loro studi sulle implicazioni etiche della medicina, intesa anche come pratica narrativa. Si fa riferimento a tale riguardo alle cosiddette Medical Humanities, che hanno avuto origine negli anni Sessanta negli Stati Uniti con lo scopo di ricercare una necessaria sinergia tra l’anima scientifica della medicina sperimentale fondata sulle prove di efficacia (Evidence Based Medicine) e la dimensione di humanitas propria delle scienze umane, “in vista di una pratica medica – sottolinea Nave – che sappia curare e prendersi cura, che sia cioè in grado di garantire terapie efficaci dal punto di vista biologico e insieme rispettose di tutta la molteplicità dei bisogni dell’essere umano e della comunità sociale nella quale è inserito”.
Salis, autore del recente volume Storie di vita dall’Hospice, è da anni un convinto sostenitore di questo tipo di approccio, fondato sul bisogno di passare dal curare all’aver cura. In tale prospettiva al medico è richiesto pertanto non solo un bagaglio di competenze più ampio rispetto al passato ma anche un modo diverso di relazionarsi con il paziente, che può essere ben sintetizzato da questa efficace ed eloquente citazione del professor Vittorio Ventafridda, uno dei padri delle cure palliative in Italia: “Chi non sa ascoltare, chi non sa d’arte e chi non sa di musica non può dare una valida relazione di aiuto”.
(Sebastiano Catte, com.unica 25 maggio 2017)