Intervista a Dan Bahat, archeologo di fama mondiale e massimo esperto di Gerusalemme (da La Stampa)

Dan Bahat, l’archeologo israeliano considerato il massimo esperto di Gerusalemme, tiene sempre in tasca dei piccoli fogli bianchi rettangolari, dove, mentre spiega la complessa storia della Città Santa, abbozza diverse piantine, passando dal primo Tempio di Re Salomone al secondo di Erode, dall’epoca crociata ai tempi di Solimano, e su cui ricuce una storia plurimillenaria. Per lui, che ha scavato nei siti archeologici più importanti d’Israele, come nella fortezza di Masada e nel tunnel sulla base del Muro del Pianto, e che è stato per lunghi anni l’archeologo ufficiale di Gerusalemme, la città non ha segreti. Ora, a 79 anni, insegna in varie università e, anche se non scava più, quando c’è odore di scoperta o di reperto da riportare alla luce, lo chiamano in continuazione per un consulto, come adesso che si scava attorno ad un piccolo teatro romano, un Odeon, rinvenuto vicino al Muro Occidentale.

Professore, lei ha scritto L’Atlante di Gerusalemme e ha recentemente pubblicato un libro sul tunnel e la storia del Muro del Pianto. Come ha iniziato a studiare la Città Santa?

«Pensi che all’università ho studiato l’età del ferro e quella del bronzo. Ho iniziato ad occuparmi di Gerusalemme nel ’64, tre anni prima della Guerra dei Sei Giorni e della riunificazione. Il mio professore, Avi Yonah, fece il plastico della città (oggi al Museo d’Israele) ai tempi del secondo tempio di Erode. Gli chiesi come fosse possibile essere aderenti alla storia, visto che a noi israeliani era proibito l’accesso nella Città Vecchia. Lui mi spiegò che aveva studiato Giuseppe Flavio e l’archeologia classica e che per ricostruire le case dei ricchi si era ispirato alle dimore di Pompei della stessa epoca. Lì capii che è la storia che dice all’archeologia che cosa c’è a Gerusalemme. Alcuni archeologi sostengono che l’archeologia è la perla delle materie umanistiche e, invece, è serva della storia. Da quel momento decisi di dedicarmi alla storia della città e mi specializzai nell’epoca crociata».

Quale è il suo metodo per comprendere la complessità di Gerusalemme?

«Vede, io sono stato il primo a capire che questa città rappresenta un mondo a sé. Per capire la complessità di Gerusalemme dobbiamo calarci in essa come con uno zoom per attraversare tutti gli strati della storia e dei popoli che l’hanno cambiata in continuazione. Oggi molti vogliono semplificarla per comprenderla, ma la storia e l’archeologia parlano chiaro. È uno studio talmente profondo che deve essere indipendente. Gerusalemme racchiude tutti i periodi e la sua storia aiuta a conoscere le altre».

Agli occhi dell’archeologia i percorsi spirituali della città coincidono con i luoghi della storia?

«Solo a volte: faccio due esempi. Tutti parlano di un primo e un secondo tempio, ma i templi che si sono alternati lungo i secoli sono quattro. Oppure, io ho scoperto la vera storia della Via Dolorosa e delle processioni. Nell’epoca crociata, dal 1099, si iniziò a fare le processioni due volte all’anno, nella domenica delle palme e il 14 settembre, la Giornata della Croce. Era un percorso rettilineo, che prendeva il via dalla Porta Dorata, che sta al muro orientale, e conduceva direttamente al Santo Sepolcro, senza stazioni. La porta veniva aperta esclusivamente in queste due occasioni. La vicenda delle 14 stazioni arriva dopo».

E come arriva?

«Nel 1187 Saladino conquista Gerusalemme e proibisce ad ebrei e cristiani di salire sulla spianata e, quindi, il percorso della Via Dolorosa è stato cambiato. L’idea dei pellegrini e dei crociati era diversa. Poi ci sono dei luoghi dove la spiritualità e la storia confluiscono. Penso al Santo Sepolcro, luogo in cui veramente Gesù fu sepolto». Quali sono le scoperte che l’hanno sorpresa di più? «Nel tunnel trovai pietre del tempio di Erode di 600 tonnellate. Le pietre più grandi che hanno trovato mai nel Paese. Ha idea quanti camion bisogna riempire per arrivare a tale cifra? Ciò rivela la genialità di chi costruiva all’epoca. Non avrei mai immaginato di trovare una cosa del genere».

A che cosa sta lavorando adesso?

«Proprio in questi giorni sto completando un libro sulla spianata del Tempio, La montagna della casa di Dio. È, come tutti sanno, una storia complessa, in cui si sovrappongono durante i secoli luoghi sacri alle diverse religioni. L’esempio più lampante è la cupola della Roccia, il santuario islamico, riconvertito in chiesa dai crociati, che hanno tagliato e inciso la roccia. Sotto la cupola dorata, originariamente, c’era il sancta sanctorum, il santuario del Tempio di Salomone e alcuni pensano che non sia vero, ma io ne sono assolutamente certo. Poi sotto la roccia c’è una grotta, dove i visitatori credono di non vedere nulla. Noi archeologi, invece, ci vediamo una tomba cananea di una persona molto importante, vissuta 500 anni prima di Abramo. È qui che Gerusalemme inizia ad essere un luogo santo. Quella collina era un cimitero cananeo di persone molto importanti».

Se voi avete potuto scavare soltanto attorno alla spianata, come avete fatto a capire che cosa c’era sotto al monte del tempio?

«Nel 1867, esattamente un secolo prima della Guerra dei Sei Giorni, un archeologo inglese, Charles Warren, arrivò a Gerusalemme con una lettera della regina Vittoria, che chiedeva al sultano turco di poter scavare e lui acconsentì. Fino ad oggi, lui, che scavò dei pozzi per tutta la spianata, è l’unico che ha fatto una mappatura naturale delle rocce di Gerusalemme, spiegandone la forma. Al centro della sua mappa c’è il Monte Moriah, dove nella Bibbia ha luogo il sacrificio di Isacco ed è li che inizia la storia di Gerusalemme».

(Ariela Piattelli, LA STAMPA 10  giugno 2017)

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