Il 10 luglio 1971, in Marocco, gli ufficiali delle FAR, Forces Armées Royales e 1400 cadetti della scuola militare di Ahermemou fecero irruzione nel palazzo di Skhirat dove il Re Hassan II stava festeggiando il suo compleanno e iniziarono a sparare in mezzo alla folla di ospiti. Fu una carneficina. Il Re si salvò nascondendosi in uno dei bagni. Diverse ore dopo, quando ricomparve la situazione si era invertita. Per gli ufficiali militari che avevano organizzato il golpe scattò la condanna a morte e furono eliminati subito dopo. Gli altri che avevano fatto parte del commando senza conoscere lo scopo della missione furono condannati da tre a cinque anni di prigione. La conseguenza immediata del fallito golpe fu la decapitazione delle gerarchie militari. Il Re, non soddisfatto delle miti condanne inflitte, dopo che avevano scontato un quinto della pena, dopo averli fatti sfilare davanti alla stampa col cranio rasato e la camicia pulita, fece rapire e trasferire segretamente, dal carcere di Kenitra, 58 dei militari arrestati, che tuttavia avevano avuto un ruolo secondario nella vicenda – qualcuno di loro in quella infausta giornata non aveva sparato neanche un colpo – nella prigione segreta di Tazmamart destinata ai prigionieri politici, appositamente costruita nelle profondità della terra in un luogo remoto del Regno, nel sud-est del Marocco, tra le montagne di Atlas, per soddisfare la sua terribile vendetta. Per anni, dal 1973 al 1991 tutti hanno ignorato il loro destino.

Diciotto anni di reclusione in condizioni terribili. I detenuti erano tenuti ai limiti della sopravvivenza, ognuno in una cella di cemento, tre metri di lunghezza e due e mezzo di larghezza, alta al massimo un metro e sessanta, con un puzzolente e spesso intasato buco di scarico per i bisogni corporali e diciassette piccoli fori nel muro per non soffocare nella totale oscurità. Il corpo piagato dai morsi dei pidocchi, delle cimici, degli scarafaggi e degli scorpioni, le unghie lunghe e sporche, i capelli e le barbe ridotti a una massa incolta. Con pochissimo cibo, una brodaglia di legumi insapore e del pane secco, senza aiuti, senza farmaci, con gli abiti ridotti in brandelli. Non più uomini, ma fantasmi randagi. Sepolti vivi per 6550 giorni. Morirono uno dopo l’altro, nel delirio, nella fame, nella malattia, nel buio. Ventotto i sopravvissuti liberati nel 1991.

Se la giustizia marocchina del tempo avesse lavorato normalmente, se i testimoni della difesa, tra cui gli ufficiali militari fedeli al Re, fossero stati ascoltati, se il Presidente della Corte militare si fosse dimostrato degno del suo ruolo, molti soldati sarebbero stati assolti, perché avevano cercato di impedire il golpe. I soldati non erano stati informati del piano organizzato per uccidere il Re: in realtà erano stati raggirati dagli ufficiali. Costoro, poco prima di arrivare a Skhirate avevano comunicato che il Re era in pericolo e che i nemici si nascondevano tra gli invitati e i giocatori di golf. I cadetti con mitra in mano, confusi e in preda ai dubbi, iniziarono a sparare. Gli uomini caddero sotto una pioggia di proiettili. Alcuni cercarono di fermare quell’orrore. Sotto un sole infuocato, una luce accecante, il verde dei prati, i muri bianchi del palazzo, le tovaglie, tutto era macchiato di sangue. Furono arrestati e disarmati, caricati sui camion, ammassati insieme ai morti e ai feriti. Eppure il loro motto era ancora “Allah, la Patria, il Re”. Il 3 settembre 1991 i superstiti vennero trasferiti nella scuola di Ahermemou, da cui erano partiti per il colpo di stato, trasformata per l’occasione in un centro di cure per i sopravvissuti di Tazmamart. Furono visitati da diversi medici, da un dentista, da uno psichiatra. Un barbiere tagliò loro i capelli e la barba. Dopo due mesi li liberarono, con la “raccomandazione” di evitare di parlare della prigionia con le associazioni straniere.

A raccontare il calvario dei prigionieri di Tazmamart e sollevare il velo su uno dei più vergognosi segreti del Regno di Hassan II due libri: Il libro del buio, titolo originario Cette aveuglante absence de lumière, di Tahar Ben Jelloun, e Tazmamart Cellule 10, del sopravvissuto Ahmed Marzouki.

(Nadia Loreti, com.unica 10 luglio 2017)

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