Un intervento dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua che auspica un ruolo dell’Isola come possibile terra di frontiera (da La Stampa).

Poche settimane fa sono stato in Sicilia in occasione del Taobuk festival di Taormina ed ho tentato con un misto di caparbietà e di ingenuità, di persuadere i siciliani (e forse, tramite loro, tutti gli italiani) di trasformare la Sicilia in una sorta di «Bruxelles» mediterranea. Come infatti Bruxelles, e in una certa misura anche Strasburgo, rappresentano il cuore dell’identità europea, così la Sicilia potrebbe essere il luogo adatto a forgiare e a valorizzare un’identità mediterranea per i popoli che ne abitano le sponde. Né io né altri dobbiamo dimostrare quanto l’identità mediterranea sia radicata in Sicilia. Civiltà diverse – ellenica, romana, cristiana, araba ed ebraica – vi hanno lasciato profonde tracce storiche e culturali. Il bacino del Mar Mediterraneo costituisce un’unità geografica, climatica, archeologica e storica e la Sicilia è stata la culla di grandi e ricche civiltà quali quella occidentale e cristiana della moderna Europa, quella musulmana e quella ebraica.

Le differenze geografiche e climatiche tra il Marocco, all’estremità occidentale del bacino mediterraneo, e la Turchia e il Libano nella sua parte orientale, sono minime rispetto a quelle esistenti fra Stati membri della comunità europea, per esempio tra Polonia e Grecia o tra Germania e Spagna. Quindi, nonostante le differenze religiose ed economiche tra le nazioni che si affacciano sulle coste del Mediterraneo, sarebbe a mio parere possibile, e pure necessario, trovare un denominatore comune che le unisca e che infonda un vero senso di appartenenza.

Tale identità sarebbe innanzi tutto utile alle nazioni del mondo arabo (come Libano, Egitto, Libia, Algeria, Marocco e Tunisia), che in questi ultimi anni hanno conosciuto momenti di grave crisi e di profondi sconvolgimenti con l’avanzare dell’Islam radicale e fanatico, un fenomeno che distrugge sistematicamente preziose stratificazioni storiche e delicate cooperazioni fra comunità, ricamatesi nel corso di secoli. La devastazione in Siria e in Iraq è enorme, terribile, e i rapporti tra sciiti e sunniti sono in continuo deterioramento. Le mire di dominio dell’Iran sulla regione sono estremamente pericolose, ma anche l’Arabia Saudita e gli stati sunniti del Golfo, nonostante la loro ricchezza e la simpatia per l’Occidente, rimangono in condizioni di tremenda arretratezza sociale e mantengono legami profondi con il fondamentalismo islamico. E i recenti accordi tra questi paesi e gli Stati Uniti di Donald Trump per l’acquisto inconsulto e sfrenato di armi non lasciano sperare in un prossimo cambiamento in positivo.

Le relazioni fra i paesi del Mediterraneo e le nazioni arabe geograficamente distanti dallo spaventoso caos di Iraq e Siria potrebbero aiutare le seconde a evitare, o almeno ad attenuare, lo tsunami integralista dell’Isis e dei suoi possibili successori. Un’identità mediterranea incoraggerebbe inoltre le suddette nazioni ad affrancarsi da un asservimento all’identità religiosa musulmana, dando così speranza a comunità non musulmane come i copti in Egitto o i cristiani maroniti in Libano, e ripristinando la loro legittima posizione – vecchia di secoli – in paesi a maggioranza islamica. Tale identità potrebbe anche spronare la Turchia, respinta dalla Comunità europea, a trovare nuovi sbocchi economici e culturali e a mitigare l’inutile tensione con la Grecia per una soluzione politica su Cipro. E rappresenterebbe infine un elemento conciliatore e moderatore per il conflitto israelo-palestinese. La soluzione di due Stati per due popoli si sta facendo infatti sempre più lontana, sia perché le colonie israeliane hanno completamente spezzettato il già risicato territorio palestinese, sia perché i palestinesi ancora sognano di accogliere milioni di profughi nello staterello che sorgerà. Circa metà degli ebrei di Israele è originaria dei paesi mediterranei, soprattutto del Nord Africa, e sarebbe molto facile per loro trovare punti in comune con la popolazione di quegli Stati, in primo luogo con quella dell’Egitto con il quale abbiamo da quarant’anni un accordo di pace. Un’identità mediterranea nella quale ebrei e arabi possano riconoscersi garantirebbe una valida base allo Stato bi-nazionale che si va apparentemente e inevitabilmente concretizzando.

Il ruolo chiave della Sicilia nel forgiare questa identità non solo assicurerà all’Italia una posizione di spicco rispetto a Francia e Germania (gli Stati dominanti dell’Unione europea) ma rappresenterà anche un’occasione e una sfida in un momento in cui l’identità europea sta perdendo smalto, non solo a seguito del ritiro della Gran Bretagna dalla comunità ma anche perché gli europei hanno ridimensionato le loro aspirazioni a un’Europa sicura e senza confini, quale sognavano alla fine del ventesimo secolo. I confini nazionali tornano a essere rilevanti, non inutili come ipotizzato dai sostenitori dell’Europa unita di cinquant’anni fa. L’Italia, quindi, in aggiunta a quella europea, dovrà sviluppare un’altra identità, un’identità con importanti obiettivi umani, e potrà eventualmente coinvolgere nella sua attività anche francesi e spagnoli. 

L’Italia non è uno Stato tradizionalmente accentratore come la Francia, e le sue città e regioni possiedono grandi margini di manovra. Sta dunque alla Sicilia, l’isola più grande al centro del bacino del Mediterraneo, richiedere al governo di Roma le risorse necessarie per portare avanti un progetto in grado di garantire maggior prestigio all’Italia.

(Abraham B. Yehoshua, LA STAMPA 21 luglio 2017)

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