Washington: arrivano i primi capi di accusa per il Russiagate
Paul Manafort, a capo della campagna elettorale di Trump per tre mesi nell’estate del 2016 e indagato nel Russiagate, si è consegnato all’Fbi con il suo ex braccio destro, Rick Gates (New York Times). I due, contro sui sono stati mossi dodici capi d’accusa, fra cui cospirazione ai danni degli Stati Uniti, riciclaggio e frode fiscale, si sono dichiarati non colpevoli.
Le indagini non sono finite, dalle carte emerge come Manafort e il suo socio siano due truffatori che trafficano con la geopolitica (Washington Post), ma per il momento i capi d’imputazione non toccano direttamente la questione dei rapporti con la Russia. Trump ha contrattaccato sottolineando l’assenza di collusione e il fatto che i fatti contestati siano di molto antecedenti al periodo della campagna elettorale (Fox News).
Ma non c’è due senza tre. In un ramo separato della stessa inchiesta, George Papadopoulos, ex consigliere della campagna di Trump sulla politica energetica, si è dichiarato colpevole di avere mentito al Fbi sul periodo in cui avrebbe lavorato per creare contatti diretti fra Trump e funzionari di alto livello del governo russo per gettare fango su Hillary Clinton (Bbc). Non solo il clan di Trump è colpito dalle indagini del procuratore speciale Robert Mueller: anche Tony Podesta, potente lobbista e fratello di John, manager della campagna di Hillary, ieri ha lasciato la guida della sua azienda (Guardian).
Un ex dipendente di una “fabbrica di troll” in Russia ha raccontato in tv come il Cremlino interferisce con la politica americana (Il Foglio). Era postmodernismo puro. Postmodernismo, dadaismo, surrealismo”, dice Alan Baskayev alle telecamere dell’emittente russa Dozhd Tv. Pelato, occhiali da vista e una maglietta rossa con la bandiera a stelle a strisce e al centro la scritta “Top Out”, Baskayev è il primo impiegato di una fabbrica di troll che ha rivelato la sua identità e ha spiegato come attraverso i social media i russi sono riusciti a interferire nelle le presidenziali americane. “Ci divertivamo, ci chiedevano cose assurde e noi ci passavamo la notte”, dice l’ex troll che ha lavorato per la Internet Research Agency di San Pietroburgo, l’agenzia accusata di aver lanciato una massiccia campagna attraverso le piattaforme social per fomentare le tensioni razziali durante le elezioni del 2016.
(com.unica, 31 ottobre 2017)