Balfour e la nascita (in ritardo) d’Israele
L’analisi sul centenario della Dichiarazione di Balfour in un editoriale ripreso dal Jerusalem Post e dal Foglio
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si recherà a Londra ai primi di novembre per partecipare alle cerimonie che commemorano il centenario della Dichiarazione Balfour. Ci si augura che gli eventi riflettano la cruciale importanza della Dichiarazione Balfour come primo significativo successo diplomatico del movimento sionista nella sua campagna per assicurarsi il riconoscimento internazionale del diritto del popolo ebraico a costituire uno stato nella sua patria storica. Purtroppo molti (alcuni anche in Israele) screditano la Dichiarazione di Balfour dipingendola come un documento per nulla fondamentale nella storia della creazione di Israele, mentre altri lo considerano addirittura una manifestazione della perfidia del colonialismo britannico nonché causa di un’ingiustizia permanente nei confronti dei palestinesi, per la quale gli inglesi non dovrebbero celebrare bensì scusarsi ufficialmente. Come è stato ricordato in un saggio dello storico Martin Kramer sulla rivista online Mosaic, la Dichiarazione di Balfour fu il risultato della portentosa attività diplomatica di Nahum Sokolow. Essa riflette nientedimeno che una dichiarazione congiunta sostenuta per iscritto e in dichiarazioni pubbliche da Stati Uniti, Francia, Italia e Vaticano.
Come osserva Kramer, se la Dichiarazione Balfour non fosse stata altro che una lettera confidenziale ai leader sionisti che non avevano ancora dato il loro sostegno alle forze alleate nella prima guerra mondiale, non sarebbe mai entrata far parte a pieno titolo del Preambolo del Mandato Britannico sulla Palestina varato dalla Società delle Nazioni nel 1922, e la Gran Bretagna l’avrebbe completamente rinnegato nel giro di pochi anni. Più deleterio del tentativo di screditare l’importanza della Dichiarazione Balfour o di presentarla come frutto di un governo britannico sotto l’influenza di “fondamentalisti cristiani” (una tesi che non trova alcun riscontro nei fatti documentati), è il tentativo in corso di denigrare la Dichiarazione Balfour come un atto criminale commesso contro il popolo indigeno (arabo) palestinese. Se c’è qualcosa che ci ha insegnato la storia del XX secolo, è che il vero “crimine” commesso dalla Gran Bretagna fu quello di rinviare a lungo la creazione dello stato di Israele. Se nel 1939 non fosse stato promulgato il Libro Bianco britannico, che impediva quasi del tutto l’immigrazione ebraica in Terra d’Israele proprio nel momento in cui la Germania nazista si apprestava a scatenare la “soluzione finale”, milioni di ebrei che a quel tempo vivevano in Europa si sarebbero potuti salvare.
Sei anni più tardi, dopo erano stati assassinati sei milioni di ebrei, gli inglesi rimasero assolutamente risoluti nell’opporsi all’immigrazione ebraica in Terra d’Israele. Oggi, più di settant’anni dopo, quando le spaventose dimensioni della Shoà sono note a tutti, c’è chi vorrebbe convincerci che la Dichiarazione di Balfour è qualcosa di cui ci si dovrebbe vergognare. Ma furono le scelte disastrose dei palestinesi e i fallimenti dei loro capi che li lasciarono senza uno stato, non la Dichiarazione Balfour. L’unica tragedia della Dichiarazione Balfour è che non venne implementata prima. Questo è ciò che si dovrebbe ricordare a Londra la prossima settimana”.
Jerusalem Post/Il Foglio, 6 novembre 2017