Matrimonio tra una cattolica e un musulmano in tempo di guerra

Abdul Razak Al Kadi era nato a Derna, in Cirenaica, il 29.10.1921. Nell’ultima guerra, il 28.6.1942 viene fatto prigioniero a Gireula Marsa Matruk dai soldati tedeschi di Rommel e trasportato in Italia. L’8 settembre 1943, il giorno dell’annuncio dell’armistizio, è rinchiuso nel campo 78 di Fonte D’Amore, a Sulmona.

In una intervista ha raccontato: «Conosco molto bene la lingua italiana per averla studiata in Libia. All’armistizio, il campo di Fonte d’Amore fu aperto. Io fui tra i primi ad uscire. Ero con un mio compagno, un palestinese. Ci eravamo procurati molti viveri, forzando la porta del magazzino. Ho saputo da altri prigionieri che era stato Santacroce a far aprire i cancelli. Io non l’ ho conosciuto, ma ricordo bene il nome, anche perché è facile da ricordare (Abdul fa un segno di croce con le dita). Ci siamo allontanati, nascondendoci sotto un cespuglio, in modo da tenere d’occhio la situazione. Passarono alcune donne di Bagnaturo recatesi al campo per vedere se c’era la possibilità di prendere qualcosa. Le ho chiamate, dicendo loro: “Ho tanta roba da mangiare, perché non mi procurate dei vestiti?” Le donne andarono a casa e tornarono con i vestiti. Prendo dagli zaini cioccolata, the, caffè, zucchero e glieli consegno. Ci dicono quindi di andare con loro a Bagnaturo, perché avremmo trovato più facilmente un posto dove nasconderci. Dormimmo in una cantina, Dal momento che parlavo bene l’italiano, nessuno poteva immaginare che ero straniero. Il mio amico palestinese, non sapendo parlare italiano, preferì unirsi ad un gruppetto di prigionieri che si diressero verso Popoli. Rimasto solo, vengo ospitato, sempre a Bagnaturo, da Laurina Petrella. Nel frattempo, un pratolano mi aveva procurato un documento falso, una carta di identità bianca che io stesso avevo riempito con un falso nome. Di falsi nomi ne ho avuti tanti. Perfino lo scrittore sudafricano Uys Krige che parla di me nel suo libro “Libertà sulla Maiella” mi indica col nome falso di Achmed (cfr. pag. 87, n.d.r.). Per il timbro, mi sono arrangiato con un turacciolo di sughero e ho falsificato la firma del podestà, tanto i tedeschi non ci capivano niente. Mi misi a lavorare proprio con i tedeschi, che mi ritenevano italiano. Imparai anche un po’ di tedesco. Mangiavo sempre in casa di Laurina. Una volta mi disse che mi avrebbe fatto conoscere una ragazza, sua parente. Bionda e molto bella. E che certamente mi avrebbe fatto impazzire.»

Maria Leondina De Dominicis, nata a Pratola Peligna il 26.11.1922, interviene raccontando la sua storia: «Un giorno del mese di gennaio del 1944, ero in piazza, a Pratola, e vedevo gente che piangeva. Stavano facendo un rastrellamento. Mia sorella chiedeva ai tedeschi che rilasciassero un ragazzo, perché troppo giovane. Era il cognato. Io mi avvicinai e dissi una parolaccia al tedesco, che capisce e mi risponde: “Tu perché brutta parola?” Aveva estratto la pistola e voleva spararmi. Mi misi a correre e mi nascosi in un vicoletto. Poi vennero le mie sorelle e mi portarono a Bagnaturo, in casa di Laurina Petrella, molto amica di mia madre. Ma in casa di Laurina ho visto per la prima volta Abdul.»

Abdul: «La forza del destino ha voluto che questa ragazza venisse da Laurina. Io credo al destino. Io sono musulmano e credo che certi avvenimenti sono stabiliti da Allah! »

Maria Leondina: «Sono rimasta da Laurina otto giorni. E vedevo questo giovane. Volevo imparare l’inglese e chiesi ad Abdul di insegnarmelo. Accettò ben volentieri. Ci siamo frequentati. E così nacque l’Amore».

Abdul: «Le guerre portano tante sorprese! Il 13 aprile 1944, mentre stavo in casa di Laurina, vicino al fuoco, bussano e sento dire in tedesco che cercano un prigioniero. Fui catturato e portato al carcere di S. Pasquale. Da qui trasferito immediatamente a Laterina, da dove il 10 giugno 1944, saputo dello sbarco in Normandia, riuscii a fuggire e a ricongiungermi con l’esercito alleato. Restai in servizio fino alla fine del 1944. Scrissi una lettera alla mia futura moglie. Mi rispose. E mentre ero a Bengasi, per procura, ci sposammo. Era il 23 gennaio 1947».

Abdul è stato funzionario del governo libico. Con la moglie, Maria Leondina De Dominicis, e due figli ha trascorso il tempo tra l’Italia e la Libia. E’ deceduto a Pratola il 17.9.2002.

Questa storia d’amore sembra una delle tante che richiamano alla mente “Le mille e una notte”. Il capolavoro della letteratura araba, il cui antefatto si fonda sulla vendetta di due fratelli califfi, Shahriyar e Shahlzaman, contro le rispettive mogli, uccise per palese tradimento. Shahriyar, deluso e amareggiato dal comportamento delle donne, decide di passare ogni notte con una donna diversa e ucciderla il mattino seguente. Ma due sorelle, la maggiore Shaharazad e la minore Dinazard, accettano di passare 282 notti con Shahriyar, raccontando storie fino al mattino, restando sane e salve. Un’opera, “Le mille e una notte”, in cui la donna viene presentata come merce di compravendita, ma anche come mito incorruttibile di bellezza e d’amore.

Nella “duecentesima notte” si racconta la fine tragica di due fidanzati, logorati reciprocamente dal mal d’amore e bloccati perfino dall’angoscia di trovarsi insieme. Il fidanzato, Ali ibn Bakkar “fece un profondo sospiro e l’anima gli uscì dal corpo”, udendo parole poetiche: “Quanto è amara la brama dell’amore…” e la ragazza, Shams al Nahar “proruppe in lacrime e cadde a terra priva di sensi”. Furono sepolti insieme a Baghdad. Perfettamente in linea con la celeberrima storia, forse precedente a “Le mille e una notte”, di Layla e Maynun, narrata da Nezami Ganjavi, dove gli amanti non riescono a sposarsi a causa dei contrasti tra le loro famiglie. Alla fine Layla si ammala e muore, mentre Maynun impazzisce e viene ritrovato morto nel 688 accanto alla tomba di Layla.

Mario Setta, 28 novembre 2017

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