L’Europa ha davvero bisogno di un’unione fiscale e politica?
La proposta dell’economista Dani Rodrik (Università di Harvard) per uscire dall’impasse in cui si trova l’eurozona: slegare la finanza privata dalla finanza pubblica, isolando ciascuna dall’abuso dell’altra.
CAMBRIDGE – Il combattivo ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, e il suo nemico, l’ex ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, erano ai ferri corti sulla questione del debito greco durante tutto il mandato di Varoufakis. Ma erano pienamente d’accordo quando si trattava della questione centrale del futuro dell’Eurozona. L’unione monetaria richiedeva l’unione politica. Nessuna via di mezzo era possibile.
Questa è una delle rivelazioni interessanti contenute nell’affascinante resoconto di Varoufakis sul suo incarico in qualità di ministro delle Finanze. “Probabilmente sei l’unico [nell’Eurogruppo] che capisce che l’Eurozona è insostenibile”, Varoufakis cita Schäuble quasi come a dirglielo. “L’Eurozona è costruita male. Dovremmo avere un’unione politica, non c’è dubbio”.
Naturalmente, Schäuble e Varoufakis avevano idee diverse in merito agli scopi che l’unione politica avrebbe raggiunto. Schäuble vedeva l’unione politica come un mezzo per imporre una forte disciplina fiscale agli Stati membri dal centro, legando loro le mani e prevenendo politiche economiche “irresponsabili”. Varoufakis pensava che l’unione politica avrebbe allentato la stretta dei creditori sulla sua economia e avrebbe creato spazio per una politica progressista in tutta Europa.
Ciononostante, è notevole che questi due funzionari provenienti da parti opposte dello spettro politico siano arrivati a un’analisi identica sull’euro. La convergenza è indicativa della crescente necessità di un’unione fiscale ed eventualmente politica se l’euro dovesse essere mantenuto senza che arrechi danni alla performance economica o ai valori democratici. Il presidente francese Emmanuel Macron ha avanzato idee simili. E il leader dei socialdemocratici tedeschi, Martin Schulz, ha anche usato il proprio potere per sostenere gli “Stati Uniti d’Europa” nei giorni scorsi.
Ma esiste anche una visione alternativa, molto meno ambiziosa, secondo la quale non è necessaria né l’unione fiscale né quella politica. Ciò che invece deve essere fatto è slegare la finanza privata dalla finanza pubblica, isolando ciascuna dall’abuso dell’altra.
Con questa separazione, la finanza privata può essere pienamente integrata a livello europeo, mentre le finanze pubbliche sono lasciate ai singoli Stati membri. In questo modo, i paesi possono trarre il massimo beneficio dall’integrazione finanziaria, mentre le autorità politiche nazionali sono lasciate libere di gestire le proprie economie. Bruxelles non sarebbe più lo spauracchio, dal momento che non insisterebbe più sull’austerità fiscale e non attirerebbe l’ira dei paesi con alta disoccupazione e bassa crescita.
Martin Sandbu del Financial Times è stato un forte sostenitore dell’idea che un’unione monetaria e finanziaria funzionante non richieda un’integrazione fiscale. Egli ritiene che la riforma cruciale sia quella di prevenire i salvataggi delle banche da parte delle autorità pubbliche. Il prezzo dei fallimenti bancari dovrebbe essere pagato dai proprietari e dai creditori delle banche; dovremmo avere dei bail-in piuttosto che dei bailout. Sandbu sostiene che ciò non solo isolerebbe la finanza pubblica dalle follie delle banche, ma porterebbe anche a un equilibrio che imita la condivisione del rischio fiscale tra paesi che sono mutuatari netti e paesi che sono prestatori netti. Mentre nel primo caso le banche falliscono, nel secondo sono i creditori a dover sostenere i costi. “Con l’unione bancaria, non c’è bisogno di un’unione fiscale”, sostiene.
In un libro di prossima uscita, l’economista Barry Eichengreen dell’Università della California, Berkeley, sostiene anche la necessità di rinazionalizzare la politica fiscale, che ritiene essenziale per arginare l’ondata di populismo europeo. Eichengreen pensa che riportare la politica fiscale alle autorità nazionali richiederebbe la necessità di evitare che le banche detengano troppi debiti governativi, al fine di ridurre al minimo il rischio che la cattiva gestione fiscale nazionale faccia crollare il sistema bancario. I governi che falliscono dovrebbero ristrutturare i loro debiti piuttosto che ottenere salvataggi dagli altri stati dell’UE.
I sostenitori del taglio del nodo gordiano tra finanza pubblica e privata riconoscono che l’approccio dei governi nei confronti delle banche deve cambiare radicalmente se questa separazione dovesse funzionare. Ma non è chiaro se i rimedi proposti funzionerebbero. Finché la politica economica rimane la provincia dei governi nazionali, il rischio sovrano continuerà probabilmente a distorcere le operazioni della finanza transfrontaliera. Gli stati sovrani possono sempre cambiare le regole ex post, il che significa che la piena integrazione finanziaria è impossibile. E i costi degli shock finanziari locali non possono essere facilmente diversificati.
Consideriamo cosa succede quando una grande banca fallisce negli Stati Uniti – un’unione economica in cui si applicano già le regole di Sandbu ed Eichengreen. Le ricadute economiche regionali sono limitate dal fatto che altri mutuatari possono continuare a funzionare normalmente: l’affidabilità creditizia è determinata dai fondamentali di un debitore e non dal suo stato di residenza. Nessuno si aspetta che un governo statale interferisca nei pagamenti interstatali, riscriva le regole di bancarotta o emetta la propria valuta in caso di emergenza.
I governi statali negli Stati Uniti esercitano poca sovranità in gran parte perché ne hanno meno bisogno: i loro residenti ottengono ordini di trasferimenti dal centro e inviano i loro rappresentanti a Washington, per contribuire a fare politica federale.
Ma gli Stati membri dell’UE si trovano in una posizione molto diversa rispetto alle istituzioni dell’UE a Bruxelles. Dal momento che mantengono la sovranità, non possono assumere impegni altrettanto credibili per non interferire con i mercati finanziari. Pertanto, rimane il rischio che uno shock finanziario abbastanza grave nell’UE influenzi tutti gli altri mutuatari nello stesso paese in modo autoavverante. Far finta di poter separare la finanza privata da quella pubblica potrebbe aggravare, piuttosto che moderare, i cicli finanziari boom/bust.
Nelle società contemporanee, la finanza deve servire a uno scopo pubblico che va oltre la logica della redditività del mercato finanziario. Quindi è irrevocabilmente politicizzata – per buone e cattive ragioni. Sembra che i decisori politici conservatori e progressisti si rassegnino a questa realtà.
(Dani Rodrik, project-syndicate dicembre 2017)
*Dani Rodrik è un economista di origine turca ed è professore di Economica Politica Internazionale all’Università di Harvard. È autore di svariati saggi economici, tra cui La globalizzazione intelligente (2011), pubblicato in Italia da Laterza.