La famiglia “innaturale” come sfida per un nuovo modello educativo. Una riflessione sulla famiglia e sull’educazione dei figli stimolata dalla lettura di un libro di Vittorino Andreoli.

In questo scritto riassumo in breve, con l’intenzione di esprimere anche il mio pensiero in merito, parte del primo capitolo del libro di Vittorino Andreoli L’educazione (Im)-possibile – Orientarsi in una società senza padri”, ed. Mondadori, 2014. Tale mia esigenza nasce dalla volontà di dare un contributo a chi si trova, come me, ad affrontare il tema dell’educazione dei figli, non volendo però ripercorrere lo schema dei propri genitori. E’ un libro che mi ha dato serenità e una qualche certezza.

L’educazione mancata. L’educazione imperativa: quando educare significa sottomettere.

Questo capitolo prende in considerazione il significato della parola educare e la storia dell’educazione. Che è, in definitiva, la storia del potere: di chi e come lo esercita, e/o lo ha esercitato, anche all’interno della “famiglia”. Se partiamo dal presupposto, incontestabile, che noi facciamo parte del regno animale, quindi della Natura, dobbiamo accettare, di contro, che il  termine “ famiglia naturale”, utilizzato per indicare la triade padre, madre e figlio, sia inesatta,  altrimenti dovremmo ritenere innaturale  anche l’organizzazione sociale degli orsi, degli elefanti ed anche di numerosi insetti, (che vivono in gruppo).

Il termine genitore è molto più antico rispetto a quello di padre e madre. Si comprende bene il concetto: il genitore, dal latino genitor, è colui che dà la vita. Mentre i termini padre e madre, nascono da una necessità patrimoniale: pater=patrimonio / mater = dovere di essere legata. Circa diecimila anni fa si affermò il ruolo educativo del padre, a seguito di un grande cambiamento: all’agricoltura e alla caccia si aggiunse la pastorizia. Fu dall’osservazione della vita animale che l’uomo comprese l’importanza del suo ruolo nella riproduzione umana e che non poteva essere uno spirito divino, o della natura, a “possedere” la donna e a far nascere una nuova vita.

Se prima di questa scoperta i figli erano del villaggio, in quanto la fecondazione era un mistero della natura, dopo ha cercato in tutti i modi di avere la “supremazia”. E ci è riuscito. Finito il “gruppo”, finita la condivisione, inizia l’era dell’egoismo e della guerra per ottenere territori e ricchezze da tramandare ai figli. Quindi il cambiamento terminologico è strettamente collegato alla necessità di avere certezze sulla discendenza, per motivi ereditari. Dato che la famiglia “naturale” comunemente intesa, non esiste, poiché è stata un’invenzione di natura economica, ne consegue che non si può legare il processo educativo all’economia e al potere. É ovvio che non si può.

Per millenni la donna, responsabile della nascita e crescita dei figli, fu venerata come Dea Genetrix, poiché ritenuta indispensabile per l’esistenza della società. Che era pacifica e nomade. La cultura religiosa femminile a cui noi ci riferiamo, deriva da quella ebraica che estromette la donna dal ruolo educativo spirituale, in quanto “impura” (mestruo) lasciandole il solo compito di accudire i bisogni fisici dei figli. Il padre diventa unico educatore mediante l’imposizione di regole (Tavole della Legge) e l’irrogazione di sanzioni, nel caso venissero trasgredite. La rivoluzione arriva dalla figura di Gesù il quale si contrappone a tutte le teorie vigenti all’epoca, con la forza rivoluzionaria di un giovane adolescente, i cui effetti li vediamo anche nel nostro ordinamento giuridico. Per esempio: Tutela sanitaria per tutti, tutela per le persone con disabilità (L.104/92), tutela delle vedove (reversibilità pensionistica dei coniugi L.335/95) riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, leggi contro la violenza, leggi sulla libertá di scelta…ecc… ecc…

I Figli di questa società mostrano sempre di più il disagio di vivere e se, fino a qualche tempo fa, era possibile emarginare e/ o addirittura curare la persona con metodi coercitivi, contro la sua volontà, ora non è più possibile. Non più.

Scuola ed educazione

Qualcuno ricorda ancora la maestra con la bacchetta?

“Una scuola che costringa un adolescente a ricevere giudizi negativi, confronti frustranti con i coetanei e bocciature, è di fatto un sistema raffinato di tortura”

Non chiamiamolo sistema educativo. Di contro io affermo che le istituzioni sono composte di persone e non di muri e leggi. E che quindi l’impegno di un educatore deve andare oltre. Non ne abbiano a male coloro che la pensano diversamente.

I figli arrivano così come sono e li devi amare lo stesso, anche se sono diversi da te. I tuoi figli sono gli alieni che vanno compresi. Sono il cane con cui parli e da cui cerchi risposte. L’Adolescenza, scrive Andreoli, è un periodo temporale variabile, convenzionalmente creato, per sospendere il “giudizio” sul comportamento, legato all’ANORMALITÀ’. Un periodo di osservazione e cura, da parte dei genitori e della scuola, da cui nascerà un nuovo adulto. Il genitore, per conto mio, deve essere la “palestra “di vita, la famiglia deve essere per forza il luogo di confronto pacifico, per avere una società non violenta.

La dott.ssa Cinzia Rossi, autrice dell’articolo

Domande che mi pongo

I genitori sono responsabili del giudizio che avrà di sé il figlio? 

La scuola è responsabile?

Come può una persona avere fiducia, o fede, nei suoi genitori se loro stessi non sanno indicare la strada?

Chi può insegnare a un genitore la via, se non il suo stesso genitore?

Se abbiamo sofferto per le terribili vessazioni fisiche e psicologiche subite nella nostra stessa famiglia, perché non cambiare metodo?

Perché la persona che ha sofferto, vuole far soffrire anche gli altri?

Forse è più facile ripercorrere una strada conosciuta, piuttosto che cercare una nuova via?

Io sono stata costretta da mia madre a fare degli studi per i quali non ero portata. E questo è il risultato. Ho cercato sempre di trovare, alla fine, in quello che facevo il piacere di farlo. Con curiosità ho sempre cercato la strada che mi portava al senso sociale che mi ha sempre animato. Anche alle violenze subite ho risposto con proposte e progetti per la mia vita, piuttosto che avvitare il mio pensiero e le mie azioni intorno al pessimismo ed al senso di impotenza. Ma spesso mi sono trovata in mezzo a persone che non capivano. Con tanta sofferenza personale.

La frase che mi ripeto spesso ultimamente, rispetto alla comunicazione è “Come parlare russo a un cinese” bisogna trovare il modo di comunicare, ma farlo con persone che possono capire o trovare il linguaggio giusto per ogni persona. E farlo presto. In un mondo che cambia così velocemente, gli spunti proposti dai genitori e dalla scuola devo essere adeguati. La vita è breve per viverla solo sperando che il sistema cambi da solo… Cosa può fare un genitore di fronte a questi grandi cambiamenti sociali, ma comunque che ha ben chiari i valori di NON VIOLENZA e DIALOGO?

Abbiamo dentro ancora il germe dell’antico testamento, della paura del padre e della punizione divina. Dobbiamo guardare avanti, anche seguendo le indicazioni di Gesù, filosofo e uomo, il quale ha indicato la via della felicità. Anzi, secondo me, non è stato tanto lui, quanto la Madre, che poi è simbolo universale di pace e tolleranza. Quella reminiscenza della dea rivista e corretta. Ma la sua forza c’è e si vede. La forza creatrice non parla a pochi dall’alto della montagna o apparendo in segreto. AGISCE.

(Cinzia Rossi*, com.unica 30 gennaio 2018)

*La dottoressa Cinzia Rossi, esperta in politiche di parità, è presidente dell’ANFE di Pescara

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