Una riflessione dello storico Mario Setta dedicata al tema di un rapporto più che secolare

Il problema del rapporto Chiesa/Stato in Italia è più che secolare. È bimillenario. Ma dal Risorgimento ad oggi il rapporto è rimasto sul piano politico, mai su quello strettamente religioso, fondato sul principio: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt. 22,21). Antonio Rosmini, dopo l’elezione a pontefice di Pio IX (1846), che aveva portato aria di rinnovamento nella chiesa, si sentì incoraggiato a pubblicare l’opera “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa”, in cui auspicava la fine del potere temporale e un ritorno alla Chiesa primitiva. Nella conclusione, Rosmini scriveva: «Quest’opera, incominciata nell’anno 1832, dormiva nello studiolo dell’autore affatto dimentica, non parendo i tempi a pubblicar quello ch’egli aveva scritto più per alleviamento dell’animo suo afflitto dal grave stato in cui vedeva la Chiesa di Dio, che non per altra ragione. Ma ora (1846) che il Capo invisibile della Chiesa collocò sulla Sedia di Pietro un Pontefice che par destinato a rinnovar l’età nostra …» ritiene opportuno di pubblicare il libro.

Ma l’ottimismo di Rosmini durò poco. Il suo libro fu proibito e messo all’Indice. Quando arrivò l’Unità d’Italia (1861), nel discorso che subito dopo tenne Cavour nel nuovo Parlamento sembrava echeggiassero le parole di Rosmini. E, pur non essendo un cattolico praticante, Cavour riconosceva la grande missione della Chiesa: «Noi riteniamo che l’indipendenza del Pontefice, la sua dignità e l’indipendenza della Chiesa possano tutelarsi mercé la proclamazione del principio di libertà applicato lealmente, largamente, ai rapporti della società civile colla religiosa. Quando questa libertà della Chiesa sia stabilita, l’indipendenza del papato sarà su terreno ben più solido che non lo sia al presente. Né solo la sua indipendenza verrà meglio assicurata ma la sua autorità diverrà più efficace, poiché non sarà più vincolata dai molteplici Concordati, da tutti quei patti che erano e sono una necessità finché il Pontefice riunisce nelle sue mani, oltre alla potestà spirituale, l’autorità temporale».

La chiesa non accettò i suggerimenti di Rosmini, di Cavour e di altre personalità che le chiedevano di fare un passo indietro sul piano politico, ma ne auspicavano e favorivano l’azione sul piano religioso e morale. Dopo l’unità, il distacco tra Chiesa e Stato ebbe momenti di grande tensione: la breccia di Porta Pia (1870), la legge delle Guarentigie, il “Non expedit”. Con l’avvento del fascismo, Mussolini, pur non essendo credente si era proposto di fare del Cattolicesimo un perno del regime, tanto che la firma dei Patti Lateranensi, l’11 febbraio 1929, fu considerata non solo e non tanto la fine del conflitto tra Chiesa e Stato, quanto un grande successo del Partito Nazionale Fascista.

Con la Conciliazione, pur ridotta in un modesto territorio, la Chiesa conservava la sua sovranità, confrontandosi con lo Stato italiano da sovrano a sovrano. L’idea di separazione proposta da Rosmini e da Cavour fu completamente abbandonata: regime fascista e chiesa cattolica convivevano, aiutandosi reciprocamente. La chiesa concedeva “investitura” e il regime ne beneficiava creando un modo di vivere, di sentire, di operare di stampo “fascista”. Dalle lotte delle investiture erano passati secoli, ma la direttrice politico-religiosa era rimasta invariata. Arturo Carlo Jemolo, uno dei maggiori esperti del problema, ha scritto: «Con ciò si andava oltre al precetto del “Date a Cesare”, oltre al rispetto ed alla collaborazione al governo legittimo: con ciò si consacrava non il governo, ma la mentalità e il modo di vivere fascista».

Il 18 febbraio 1984 viene firmato il nuovo Concordato tra Chiesa e Stato. Con la revisione sotto il governo Craxi, migliorano alcune situazioni, ma la linea direttrice resta immutata. Michele Ainis, docente di Istituzioni di diritto pubblico, nel volume “Chiesa padrona”, scrive: «Il vecchio Concordato ospitava una quantità di norme che contrastavano in modo sfacciato con i princìpi stabiliti dalla legge fondamentale. Una su tutte: l’art. 5, circa il divieto di assumere negli uffici pubblici sacerdoti apostati o irretiti da censura; una disposizione che a suo tempo un giurista cattolico come Mortati definì “mostruosa”. Poi, certo, l’Accordo del 1984 ha superato le norme più odiose e anacronistiche; ma anch’esso presta il fianco a varie critiche di compatibilità costituzionali».

C’è un lungo elenco di fatti, con i quali lo Stato privilegia la Chiesa cattolica e che sarebbero incompatibili con la Carta Costituzionale:

  • il riconoscimento degli effetti civili al matrimonio religioso;
  • gli effetti civili delle pronunzie dei tribunali ecclesiastici (Sacra Romana Rota) mediante la procedura dell’annullamento;
  • l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, con la nomina dei docenti da parte degli Ordinari Diocesani;
  • l’8 per mille, il meccanismo col quale si è sostituita la vecchia “congrua”, per cui «a ogni livello, nazionale e locale, i cittadini sono “costretti”, volenti o nolenti, consapevoli o meno, a contribuire pecuniariamente» (Curzio Maltese, La questua)

Ma Craxi sembrava non voler lasciare chiusa la partita risorgimentale della libera Chiesa in libero Stato, tanto che in un discorso del 20 marzo 1985, per la ratifica degli accordi, auspicava “il superamento della dimensione concordataria”, precisando che la riforma attuata dal suo governo doveva considerarsi come “revisione-processo”. Sabino Cassese ha scritto che “ogni costruzione statale è frutto del tempo, avviene a pezzi e bocconi… i cambiamenti non avvengono, solitamente, per rivoluzioni, ma per evoluzione” e Paul Ginsborg, nel libro “Salviamo l’Italia” (2010), rileva come il primo grande pericolo da cui l’Italia moderna deve essere salvata è una Chiesa troppo forte in uno Stato troppo debole.

Perfino Joseph Ratzinger, prima di essere eletto papa Benedetto XVI, aveva esposto qualche riflessione critica sul comportamento della Chiesa: «Purtroppo nella storia è sempre capitato che la Chiesa non sia stata capace di allontanarsi da sola dai beni materiali, ma che questi le siano stati tolti da altri; e ciò, alla fine, è stato per lei la salvezza» (Il sale della terra). In questi anni, nulla è cambiato. Siamo ancora a quel dilemma: aut Caesar aut Christus. La Chiesa non ha mai ceduto liberamente nessun potere. Ha cercato di mantenerlo a qualsiasi costo. Solo uno Stato veramente “laico”, nel senso etimologico di “popolare” (non populista), cioè di tutti, perché aperto e tollerante, potrebbe aiutarla a recuperare le sue origini e a liberarsi dalle catene che la imprigionano. Il sistema concordatario è stato e continua ad essere una catena che ne vincola la libertà, la riduce a “serva” dello Stato. Andare oltre il Concordato non sarebbe una pretesa laicista, ma una esigenza evangelica.

Mario Setta, 11 febbraio 2018

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