Una mostra con le sue opere al Palazzo Ducale di Genova

A Genova, al Palazzo Ducale, è stata presentata il 24 febbraio una grande retrospettiva dedicata ad uno dei maggiori fotografi del Novecento, l’ungherese André Kertész. Cinquant’anni di carriera condensati in un percorso artistico riproposto attraverso oltre 180 fotografie e 14 rare pubblicazioni raggruppate in sezioni, una sorta di diario visivo in cui le cose semplici e quotidiane hanno perso l’anonimato per acquistare unicità e bellezza, ammantate da un velo di poesia, grazie alle curatissime visioni prospettiche, per cui era famoso Kertész.

Si racconta che si sia avvicinato alla fotografia poco più che bambino, quando scovò un trattato nella soffitta polverosa di una vecchia casa ungherese. O forse bisognerebbe dire che fu la Fotografia a trovare lui, in un incontro folgorante, ricco di magia e di ricerca stilistica, che lo rese il precursore di un nuovo modo di fare poesia e vivere il simbolismo. Dal carattere introverso ed intuitivo, fu sempre attratto dalla strada, e non dalla cronaca o dagli eventi mondani, cercando la felicità nascosta in ogni singolo attimo. Interpretò pienamente il periodo storico in cui visse, a cavallo tra Ottocento e Novecento, ricco di movimenti innovatori e rivoluzionari, come le Avanguardie Storiche, il Cinema e la Fotografia. La sua ricerca artistica iniziata in Ungheria proseguì a Parigi e approdò infine negli Stati Uniti. Gli scatti del periodo francese sono ricchi di atmosfere fantastiche e surreali, in perfetta concordanza con il suo carattere venato di romantica malinconia. A Parigi entrò a far parte del circolo degli artisti ungheresi che si ritrovava al Cafè du Dôme, nel quartiere di Montparnasse. In questo ambiente incontrò i fotografi e pittori ungheresi Lazló Moholy-Nagy esponente del Bauhaus, e Brassaï, i pittori Marc Chagall, Fernand Léger e Piet Mondrian. A Parigi adottò uno stile realistico e diretto, ma sempre poetico e nostalgico, reso da inquadrature geometriche ottenute sapientemente sfruttando le linee di contrasto tra luce ed ombra. Nel 1927 fu organizzata alla galleria Au Sacre du Printemps una delle prime mostre fotografiche di Kertész. Il catalogo contiene in apertura una poesia del dadaista Paul Dermée. L’esperienza della mostra sarà ripetuta nel 1929, quando partecipò alla prima esposizione indipendente di fotografia al Salon de l’Escalier, insieme a artisti come Berenice Abbott, Laure Albin-Wuillot, George Hoyningen-Huene, Germaine Krull, Man Ray, Nadar e Eugène Atget.

Nel 1933 la rivista Le Sourire gli offrì cinque pagine da riempire in piena libertà. Riprendendo il tema delle distorsioni del 1917, Kertész affittò uno specchio deformante da un circo e realizzò una serie di fotografie quasi surrealiste, in cui dominava la ricerca di forme diverse da ottenere con il corpo umano e l’uso sapiente della luce. Nacque così la serie delle Distorsioni.

Il periodo americano fu sicuramente quello più triste e difficile della sua carriera. Nel 1936 l’agenzia fotogiornalistica Keystone di New York gli propose un contratto di un anno, ma la sua arte risentì dell’amarezza e della frustrazione di fronte al mancato riconoscimento del suo valore, la sua vena poetica inquinata dalla disillusione. Nel 1964 il periodo buio si concluse, grazie alla visione di John Szarkowski, il quale riabilitò il suo lavoro riconoscendogli la portata audace ed innovatrice, dedicandogli una mostra retrospettiva al Museum of Modern Art (MoMa) di New York. Nel 1970 i suoi lavori furono esposti in grandi città come Stoccolma, Londra, Parigi, Tokyo, Melbourne e Buenos Aires, riscuotendo ovunque un enorme successo. La morte della moglie, la sua più grande sostenitrice, nel 1977, gli lasciò dentro un vuoto incolmabile.

Una sezione della mostra è dedicata ad alcuni scatti a colori, inediti per il pubblico italiano. Per Kertész il colore era una interessante novità degna di essere sperimentata. La curiosità lo spinse a giocare con i toni, che risultano essere a volte molto caldi o molto freddi, ma i tagli, le inquadrature e i punti di vista restano sicuramente il risultato di una grande esperienza visiva giunta ad una straordinaria maturazione. Collaborò con numerose riviste, tra le quali Harper’s Bazar e Vogue. Pubblicò i suoi lavori con le maggiori agenzie fotografiche e raggiunse la tanto agognata notorietà mondiale grazie anche alle numerose mostre che si susseguirono negli anni. Quando si ammalò, continuò a fotografare utilizzando un obiettivo zoom dalla finestra della sua casa affacciata sullo Washington Square Park. Le sue foto sono state raccolte nel libro From my Window (1981), dedicato alla moglie Elisabeth. Morì il 28 settembre del 1985, lasciando nella sua casa più di centomila negativi.

La retrospettiva a lui dedicata resterà aperta al pubblico fino al 17 giugno 2018.

La mostra è organizzata dal Jeu de Paume di Parigi, in collaborazione con la Mediathèque de l’Architecture et du Patrimoine, Ministère de la Culture et de la Communication – France, con diChroma photography e con la partecipazione di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura.

Nadia Loreti, com.unica 28 febbraio 2018

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