A Teramo fino al 31 marzo 2018, a cura di Alessandra Angelucci

Venerdì 9 marzo 2018, alle ore 18.00, inaugura nelle sale de L’Arca-Laboratorio per le Arti Contemporanee di Teramo “HIV/AIDS” a cura di Alessandra Angelucci, personale dell’artista Paolo di Giosia da anni impegnato nella ricerca fotografica analogica, con particolare attenzione alle tematiche sociali che toccano più da vicino il tempo dell’esistenza umana.

HIV/AIDS nasce grazie alla volontà della AUSL di Teramo, primo sostenitore e promotore del progetto, in collaborazione con l’artista Paolo di Giosia, un percorso artistico di ampio respiro e nobile finalità che presenta i patrocini della Regione Abruzzo, Provincia di Teramo, Città di Teramo, Università degli Studi di Teramo e Ufficio Scolastico Regionale. All’evento inaugurale di venerdì 9 marzo, moderato dal giornalista RAI Antimo Amore, oltre all’artista e alla curatrice interverranno: Roberto Fagnano, Direttore Generale AUSL Teramo, Franco Santarelli, Responsabile Formazione e Qualità AUSL Teramo, Pierluigi Tarquini, Responsabile Malattie Infettive AUSL Teramo. Tutti insieme per un significativo obiettivo umano e sanitario: tornare a dare voce al principio della responsabilità insito nell’agire umano, un agire appunto che potrebbe ritorcersi contro come boomerang, quando la disattenzione, la noncuranza e l’incoscienza prendono il sopravvento sul terreno fragile delle scelte.

Il titolo della mostra è chiaro e diretto, non lascia nulla alla immaginazione: HIV/AIDS, per un problema sociale – individuale e collettivo – su cui pesa l’urgenza di tonarne a parlare dopo anni di silenziosa quiete. Nessuno può sentirsi escluso, è il Registro Nazionale AIDS a restituirne un quadro dettagliato con dati chiari: il virus dell’HIV continua a fare il suo corso e così la malattia dell’AIDS. Lo spiega bene la curatrice della personale, Alessandra Angelucci, quando scrive nel catalogo: «Paolo di Giosia articola un lavoro significativo, sceglie di essere fedele alla sua ricerca portata avanti nel corso degli anni, una ricerca fatta di attenzione alla realtà, in questo caso cucita intorno al dato scientifico puro, allo studio psico-socio-comportamentale. Il verme nella mela esiste, può insinuarsi sotto pelle, ha un nome: AIDS. Chi muore in palcoscenico può sempre rialzarsi; chi muore in terra no. È questa la drammatica differenza tra virtualità e concretezza, è questo il racconto che l’artista decide di offrire al pubblico col fine ultimo di ripulire il setaccio di tutti i grumi che rendono opaco lo stato delle cose. Se si dimentica che l’HIV esiste, si rischia un agire senza barriere difensive; se si conosce e si ricorda, vivo resta il pensiero come l’atto che lo caratterizza. E l’artista sembra dirlo in ogni scatto, in ogni braccio che si scompone nella bellezza fatta di carne e respiro: guardare attentamente è un atto di coraggio, ricordare un’attestazione di responsabilità».

La personale di Paolo di Giosia si articola in tre momenti ben distinti, ciascuno dei quali mette in evidenza i diversi linguaggi espressivi contemporanei (fotografia, video arte, installazioni) cui l’artista ricorre per entrare in contatto con il fruitore: «Una storia delicata che, dal culto del fascino corporeo, si addentra nello scavo diretto di un male che non lascia spazio ai ripensamenti, un male che ancora oggi assoggetta chi ne soffre all’impronta del pregiudizio, diremmo meglio giudizio» scrive ancora la curatrice Angelucci.

Nella prima sala è la fotografia ad accogliere con 7 scatti lo sguardo dell’osservatore, per mettere in risalto il culto della bellezza corporea con tutte le velate declinazioni del rischio celato dietro il volto della promiscuità.

Nella seconda sala il linguaggio della video arte propone una narrazione multimediale di grande impatto: la storia di due giovani, Andrea e Sara, colti nel gesto lento e consapevole dello scrivere su un muro scalfito dalle crepe del tempo. I dati scientifici che i protagonisti lasceranno sulle bianche pareti non daranno scampo alle coscienze di chi legge. Un unico monito: «Fai il test anche tu». Il video rivive anche nelle strisce di pellicola (36 scatti), collocate nella stessa sala in una teca retroilluminata, in cui poter osservare concretamente con un lentino che cosa significhi ancora oggi fare ricerca fotografica secondo il tempo analogico. (Il video è stato realizzato in collaborazione con il videomaker Vito Bianchini).

Nella terza ed ultima sala avviene un sottile ed intimo ripiegamento. L’osservatore è chiamato ad interagire con l’installazione presente: uno scrittoio, una sedia, un muro bianco e un foglio su cui si legge qualcosa. L’incipit cita testualmente: «Mi chiamo Daniele Kihlgren e l’anno che ha cambiato la mia vita è stato il 1987». Ai visitatori si lascia la curiosità e la responsabilità di proseguire nella lettura.

(com.unica, 8 marzo 2018)

Paolo di Giosia, appassionato di fotografia sin da ragazzo, fotografa prevalentemente in bianco e nero in modo analogico. Ha tenuto numerose mostre personali e ha partecipato a diverse collettive e fiere internazionali, collaborando con gallerie italiane ed estere. Ha prodotto diversi video, presentati in occasione di rassegne di videoarte e corti cinematografici, e pubblicato alcuni volumi fotografici.

Alessandra Angelucci, docente di Lettere e giornalista, scrive di Arte Contemporanea per Exibart. Ha curato mostre sia in Italia che all’estero. Dirige la collana d’arte Fili d’erba (Edizioni Di Felice).

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