Il Parlamento inglese e quello europeo invitano Zuckerberg a dare spiegazioni. Nuove rivelazioni sul caso Cambridge Analytica.

Facebook è travolta dallo scandalo sull’abuso dei dati di milioni di utenti che coinvolge la società di consulenza Cambridge Analytica. A Washington la Federal Trade Commission ha aperto un’indagine sul caso. Una commissione parlamentare del Parlamento britannico e il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, intervistato da La Stampa, invitano Mark Zuckerberg a presentarsi per dare spiegazioni.

Per ora l’azienda si è limitata a un comunicato in cui dice di “essere stata ingannata” (Corriere). Dal quartier generale di Facebook fanno sapere che stanno lavorando per appurare i fatti e prendere le misure più adeguate: “Siamo impegnati a rafforzare le nostre policy per proteggere le informazioni personali e prenderemo qualunque iniziativa perché questo accada”, affermano. Ma nessuno dei dirigenti del social network si è espresso sulla campagna #DeleteFacebook, che è diventata diventata virale sui social, così come sul crollo del titolo in Borsa, che ha mandato in fumo 36 miliardi di dollari del gruppo: nell’ultima seduta a Wall Street il titolo ha perso il 2,6%, trascinando in rosso tutto il settore dei social media (Twitter ha perso oltre il 10%). Intanto il cda di Cambridge Analytica ha sospeso l’amministratore delegato Alexander Nix.

Sul caso si registrano nuove rivelazioni. L’ex manager di Facebook Sandy Parakilas ha raccontato al Guardian che i dati di centinaia di milioni di utenti di Facebook sono stati violati in passato da decine di aziende private che hanno sfruttato lo stesso meccanismo adoperato da Cambridge Analytica. Durante il suo periodo a Menlo Park, tra il 2011 e il 2012, avrebbe manifestato più volte i suoi dubbi ai superiori, che però ne avrebbero ignorato gli allarmi con un “approccio lassista”. In effetti fino al 2015 consentiva ai gestori delle applicazioni di raccogliere dati non solo dei singoli che aderivano alle loro policy ma anche della loro rete di contatti. Nel momento in cui ci si iscriveva Facebook, al social network si dava il consenso di condividere alcuni dati anche con le applicazioni esterne che usavano Facebook Login, compresi quelli riguardanti gli amici (a loro insaputa). “Questo è stato un brutto colpo per me vedere quello che è successo”, ha aggiunto Parakilas, “perché so che avrebbero potuto impedirlo”. L’ex dirigente di Facebook ha affermato inoltre che i dirigenti dell’azienda hanno smesso con questa politica molto permissiva verso la seconda metà del 2014 perché “temevano che qualcuno poteva cominciare a lavorare con quei dati ad un proprio social network”.

Appare a tutti chiaro che lo stratega numero uno di Cambridge Analytica è Steve Bannon, il guru ultra conservatore ed ex super consulente di Donald Trump, come sottolinea oggi anche Repubblica. Secondo Chris Wylie (la talpa che ha provocato lo scandalo) Bannon, tre anni prima del suo incarico alla Casa Bianca, cominciò a lavorare a un ambizioso programma: costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l’efficacia di molti di quei messaggi populisti che furono poi alla base della campagna elettorale di Trump. Bannon, già ai tempi in cui dirigeva il magazine ultraconservatore Breitbart News, entrò a far parte del board della società Cambridge Analytica di cui è stato vicepresidente dal giugno 2014 all’agosto 2016, quando divenne uno dei responsabili della campagna elettorale di Trump. Fu proprio lui a lanciare la società grazie ai finanziamenti dei suoi ricchi sostenitori, a partire dalla famiglia miliardaria dei Mercer. Wylie, intervistato dal Washington Post, spiega come di fatto Bannon fosse il vero supervisore della società, in grado di dare ordini anche ad Alexander Nix, il Ceo della società appena sospeso dal suo incarico. Nix non aveva l’autorità di spendere tutti quei soldi: lo stesso Bannon aveva approvato già nel 2014 una spesa di circa un milione di dollari per acquistare dati personali raccolti anche su Facebook. Bannon – sottolinea ancora il Wp – ha ricevuto dalla Cambridge Analytica nel 2016 oltre 125 mila dollari in compensi per le sue consulenze e ha posseduto una parte della società per un valore tra un milione e i 5 milioni di dollari.

In tutta questa storia, oltre a Bannon e Wylie, hanno avuto un ruolo cruciale anche altri due personaggi: il già citato magnate Robert Mercer, gestore di un ricco fondo con un patrimonio di 25 miliardi di dollari e informatico con il pallino dell’intelligenza artificiale; e Aleksander Kogan, lo studioso di psicometria e professore di Psicologia a Cambridge che per la Analytica escogiterà un trucco geniale che risulterà decisivo in questa operazione: crea la app Thisisyourdigitallife in grado di offrire un sofisticato test della personalità, la collega a Facebook e fa abboccare 270 mila persone che la scaricano, riuscendo così ad estrarre i dati sensibili non solo di coloro che la utilizzano volontariamente ma anche quelli dei loro amici: ben 51 milioni di profili ottenuti senza il consenso degli interessati. Insomma, una vicenda torbida di manipolazioni e di profili estorti (forse anche di tangenti, come pare stia emergendo in queste ore) portata alla luce grazie alle inchieste giornalistiche del Guardian e del New York Times. Inchieste meticolose che hanno messo in grande evidenza quello che avrebbe dovuto essere lo scopo finale: la fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Europa e l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Obiettivi entrambi raggiunti, anche se probabilmente non sapremo mai fino a che punto e in che modo il risultato sia stato influenzato dalle strategie manipolatorie di Bannon e dei suoi amici.

(Sebastiano Catte, com.unica 21 marzo 2018)

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