Il mio amico Arrigo Petacco, un don Chisciotte contro l’ipocrisia
Il ricordo del giornalista e scrittore Giancarlo Mazzuca
Un giorno chiesi ad Arrigo Petacco, con cui ho avuto il grande onore di scrivere nel 2010 il libro ‘La Resistenza tricolore. La storia ignorata dei partigiani con le stellette’ (Mondadori, 2010), chi fosse il giornalista che apprezzava di più. Lui non ebbe dubbi e mi disse: Montanelli. Non poteva essere diversamente perché se Indro era il vero giornalista controcorrente, Arrigo scomparso l’altro giorno a 89 anni – era, per definizione, lo scrittore controcorrente. Infatti, nei tantissimi libri che, almeno una volta all’anno, mandava alle stampe, appariva, da un lato, fuori dal coro su certi temi, molto discussi, della nostra storia, ma, dall’altro, si soffermava volentieri anche su personaggi che, nella loro vita, si erano distinti per i loro aspetti imprevedibili.
Tra quest’ultimi, ha avuto una particolare predilezione a tratteggiare certi romagnoli “e’ matt”, tipi un po’ matti: non parlo tanto di Mussolini, che Arrigo ha raccontato in tutte le salse, quanto, piuttosto, di personaggi considerati a torto di secondo piano come Ettore Muti, il fascista anomalo trovato morto nell’agosto del ’43, e Nicola Bombacci, “il comunista in camicia nera”, emissario di Lenin e fondatore del Partito comunista d’Italia a Livorno, che finì poi i suoi giorni a Dongo assieme al Duce.
Forse anche per le sue “simpatie artusiane” (apprezzava molto la cucina romagnola), Petacco ha pure firmato due libri con giornalisti nati da quelle parti: Sergio Zavoli (Dal Gran Consiglio al Gran Sasso, Rizzoli 1973) e, appunto, il sottoscritto. Con il nostro volumetto, Arrigo ha cercato di superare la cosiddetta storiografia ufficiale – che per troppi anni, ha parlato solo di partigiani “rossi” – raccontando le vicende ignorate dei tanti militari che, dopo l’8 settembre del ’43, pagarono spesso con il sangue (87mila morti) la decisione di non cedere le armi ai tedeschi. Non è un caso che anche l’altro “controcorrente doc”, Montanelli, si fosse fatto paladino di questa battaglia: pochi mesi primi della sua morte, nel marzo 2001, aveva denunciato il fatto che i partigiani con le stellette non fossero entrati, per decenni, nel Sacrario della Resistenza perché, agli occhi degli storici ortodossi, avrebbero finito per oscurarne “il Dna e il blasone”. Anche Petacco si sentiva, a volte, come un specie di Don Chisciotte che, lancia in resta, cavalcava contro i mulini a vento dell’ignoranza e dell’ipocrisia. Ma, nel caso dei resistenti in grigioverde, non è stato proprio così: Arrigo ha vinto la sua battaglia. Come tante altre.
Giancarlo Mazzuca/IL GIORNALE, 5 aprile 2018