L’analisi dell’economista Jeffrey D. Sachs dopo la testimonianza di Mark Zuckerberg davanti al Senato americano.

Chris Hughes, uno dei cofondatori di Facebook, ha osservato di recente che lo scrutinio pubblico del portale era “atteso da tempo”, dichiarando di “trovare scioccante che i suoi amministratori non abbiano dovuto rispondere ad altre domande di questo tipo prima d’ora”. Sono anni che alcuni leader nel settore della tecnologia dell’informazione, soprattutto in Europa, mettono in guardia dagli abusi di Facebook (e altri portali), e oggi il loro parere e le loro raccomandazioni pratiche sono più necessari che mai.     

La testimonianza del CEO di Facebook Mark Zuckerberg davanti al Senato americano non ha contribuito a rinforzare la fiducia del pubblico in un’azienda che armeggia con i dati personali dei suoi utenti. Il momento più rivelatore della deposizione è stato quando il senatore dell’Illinois Richard Durbin ha chiesto a Zuckerberg se si sarebbe sentito a suo agio a condividere il nome dell’hotel in cui alloggiava e delle persone con cui quella settimana si era scambiato dei messaggi, cioè lo stesso tipo di dati tracciati e utilizzati da Facebook. Zuckerberg ha risposto di no. “Penso che la questione sia tutta qui”, ha replicato Durbin. “Il diritto alla privacy di ognuno di noi”.   

I critici di Facebook sottolineano questo aspetto da anni. Stefano Quintarelli, uno dei maggiori esperti informatici d’Europa e noto sostenitore della privacy online (nonché, fino a poco tempo fa, deputato del parlamento italiano), critica da tempo e in modo profetico l’abuso da parte di Facebook della propria posizione di mercato, e l’utilizzo improprio dei dati personali online. Egli porta avanti un’idea potente e, cioè, che ognuno di noi dovrebbe avere il controllo del proprio profilo virtuale, e che questo dovrebbe essere facilmente trasferibile da un portale all’altro. Se decidiamo che Facebook non ci piace più, dovremmo avere la possibilità di passare a un suo concorrente senza perdere il collegamento ai contatti che invece restano su Facebook. 

Secondo Quintarelli, l’abuso dei dati acquisiti da Facebook da parte della Cambridge Analytica è stato una conseguenza inevitabile dell’irresponsabile modello di business dell’azienda guidata da Zuckerberg. E ora Facebook ha ammesso che Cambridge Analytica non è l’unica ad aver sfruttato i profili personali ottenuti da Facebook.

In alcune comunicazioni con il sottoscritto, Quintarelli dice che il Regolamento generale sulla protezione dei dati personali dell’Unione europea, che entrerà in vigore il 25 maggio dopo sei anni di preparazione e dibattito, “può fungere da guida sotto diversi aspetti”. In base al Regolamento, egli osserva, “le organizzazioni inadempienti sono passibili di sanzioni severe, fino al 4% delle loro entrate. Se la normativa fosse già stata in vigore, Facebook, al fine di evitare tali sanzioni, avrebbe dovuto denunciare la fuga di dati alle autorità competenti non appena ne fosse venuto a conoscenza, quindi molto prima delle ultime elezioni americane”.  

Quintarelli sottolinea che una “concorrenza efficace è uno strumento potente per aumentare e difendere la biodiversità dello spazio digitale”. Ed è qui che entra in gioco la normativa europea, poiché essa “introduce il concetto di portabilità del profilo, in base al quale un utente può spostare il proprio profilo da un provider all’altro, proprio come facciamo quando trasferiamo il nostro profilo telefonico – il numero mobile – da un operatore all’altro”. 

Ma “questa forma di proprietà dei dati del proprio profilo”, continua, “certamente non è sufficiente”. Altrettanto importante è l’interconnessione: l’operatore a cui trasferiamo il nostro profilo deve essere interconnesso con l’operatore di origine, in modo da non perdere il contatto con i nostri amici online. Oggi questo è possibile grazie a tecnologie come IPFS e Solid, sviluppate dal creatore del web Tim Berners-Lee”.

Sarah Spiekermann, docente presso la WU, la facoltà di economia dell’università di Vienna, e presidente del suo istituto per i sistemi informativi di gestione, è un’altra pioniera della privacy online che da tempo mette in guardia sul tipo di abusi associati a Facebook. Spiekermann, un’autorità mondiale sul traffico delle nostre identità digitali finalizzato a pubblicità mirata, propaganda politica, sorveglianza pubblica e privata o altri scopi nefasti, evidenzia la necessità di inasprire i controlli sul “mercato dei dati personali”.

“Da quando, nel 2011, il Forum economico mondiale ha cominciato a trattare i dati personali come una nuova classe di asset”, mi ha detto, “il mercato dei dati personali ha continuato a espandersi in virtù dell’idea che questi possano essere il “nuovo petrolio” dell’economia digitale così come – a quanto pare – della politica”. Di conseguenza, “oggi oltre un migliaio di aziende fa parte di una catena del valore delle informazioni digitali che raccoglie dati da qualunque attività online e fornisce contenuti mirati a utenti online o mobili entro circa 36 secondi dal loro ingresso nel regno digitale”. E non sono “soltanto Facebook e Google, Apple o Amazon a raccogliere e utilizzare i nostri dati per gli scopi più diversi”, sostiene Spiekermann. “Le ‘piattaforme di gestione dei dati’, come quelle operate da Acxiom o Oracle BlueKai possiedono migliaia di attributi personali e profili socio-psicologici relativi a centinaia di milioni di utenti”.   

Se da un lato Spiekermann pensa che “il mercato dei dati personali e l’utilizzo dei dati al suo interno andrebbero vietati allo stato attuale”, dall’altro ritiene che il Regolamento europeo sia “uno stimolo per le aziende di tutto il mondo a rivedere le proprie pratiche di condivisione dei dati”. Inoltre, osserva che “un ricco ecosistema di servizi online rispettosi della privacy sta cominciando a prendere piede”. Uno studio condotto da un gruppo di studenti laureati alla Wu “ha analizzato le pratiche di raccolta dei dati dei nostri principali servizi online (come Google, Facebook e Apple) e li ha confrontati con i loro nuovi rivali, più rispettosi della privacy”. Lo studio, dice, “prevede la possibilità per tutti di passare ad altri servizi all’istante”.         

L’immensa capacità di lobbying di Facebook gli ha consentito finora di aggirare le soluzioni pratiche di Quintarelli, Spiekermann e dei loro colleghi attivisti. Il recente scandalo, tuttavia, ha aperto gli occhi al pubblico sulla minaccia che l’inazione rappresenta per la democrazia stessa. 

L’Ue ha preso la situazione in mano, grazie ai suoi nuovi standard di privacy e alla proposta di aumentare la tassazione di Facebook e altri divulgatori di dati personali online. Pur così, bisogna e si può fare di più. Quintarelli, Spiekermann e altri paladini dell’etica digitale ci indicano un percorso pratico verso una rete trasparente, equa, democratica e rispettosa dei diritti della persona.

Jeffrey D. Sachs, project-syndicate aprile 2018

* Jeffrey D. Sachs (Detroit 1954) è un economista e saggista statunitense. Insegna “Sviluppo Sostenibile e Politica e gestione sanitaria” alla Columbia University di New York, dove dirige anche l’Earth Institute. Nel 2004 e nel 2005 la rivista americana “Time” l’ha inserito nella lista delle 100 personalità più influenti del pianeta.

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