Gli ebrei d’Italia dal Colosseo ai Finzi Contini
L’intervista di Alain Elkann (per La Stampa) alla direttrice del Museo nazionale dell’ebraismo e della Shoah a Ferrara.
Simonetta Della Seta dal giugno 2016 dirige il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah a Ferrara. «Il museo è nato grazie a una legge del 2003 – spiega lei – la missione è raccontare tutto l’ebraismo italiano e non solo la Shoah».
Primo Levi in Se questo è un uomo scrive che gli ebrei italiani sono percepiti come diversi dagli altri ebrei della diaspora. Come mai?
«Il motivo per cui è stato creato questo museo ha a che fare proprio con quella differenza. Gli ebrei sono in Italia da 2.200 anni. È la comunità più antica al di fuori di Israele dopo quella di Babilonia ed è una comunità tuttora viva, non solo una memoria storica».
E come viene raccontato nel museo?
«Il museo, che a dicembre 2017 aveva aperto due dei sette padiglioni previsti, espone 200 oggetti legati al primo millennio di presenza ebraica nella Penisola. Si comincia con l’arrivo degli ebrei a Roma da Gerusalemme, 200 anni prima della distruzione del Tempio, che avviene nel 70 d. C., e poi come schiavi del generale Tito, dopo la conquista romana della Giudea».
Quindi i primi insediamenti ebraici in Italia furono a Roma?
«Il legame tra Gerusalemme e Roma è anche sottolineato dal fatto che gli imperatori romani costruirono il Colosseo grazie al tesoro del Tempio di Gerusalemme e al lavoro degli schiavi ebrei. Nel museo si racconta la vita degli ebrei nell’antica Roma, le loro tradizioni, le sinagoghe, le catacombe, la loro alimentazione e l’atteggiamento romano nei loro confronti».
E poi?
«Si affronta il tema dell’inizio delle relazioni tra cristianità ed ebraismo. Da Roma gli ebrei si sono spostati in tutta la Penisola, soprattutto al Sud e, per la prima volta qui si vede quanti oggetti e opere d’arte testimonino la presenza ebraica nel Sud dell’Italia. Adesso stiamo lavorando al resto del percorso espositivo, gli ebrei nel Rinascimento; la sezione aprirà agli inizi del 2019. Il museo offre anche esperienze multimediali sulla vita degli ebrei italiani dalle origini a giorni nostri, inclusa la tragica parentesi dell’Olocausto»
Perché è stata scelta Ferrara?
«Ferrara è da sempre una città importante per gli ebrei, che vivono qui da oltre 1000 anni e i Duca d’ Este, che governarono la città per molti secoli, li accolsero quando furono cacciati dalla Spagna e dal Portogallo nel 1492. E, mentre altre città italiane li rinchiusero nei ghetti, a Ferrara godevano della piena libertà e potevano dialogare con i non ebrei. Solo quando Ferrara fu conquistata dallo stato pontificio, agli inizi del 17° secolo, furono anch’essi rinchiusi nel ghetto».
C’è ancora un nucleo di vita ebraica a Ferrara?
«Sì, c’è una comunità di circa 100 persone, due sinagoghe funzionanti e un cimitero molto romantico. E c’è anche un quartiere ebraico. Importante ricordare anche le tante famiglie ebraiche di spicco che sono vissute qui, come gli Abravanel, i Lampronti, i Mendes-Nasi, e gli Usque».
Ferrara è anche la città così ben descritta da Giorgio Bassani nei suoi romanzi come Il giardino dei Finzi-Contini?
«Sì, indubbiamente, con i suoi libri Giorgio Bassani ha fatto molto per far conoscere la Ferrara ebraica. Ma l’eredità ebraica di Ferrara è ancora molto altro e di più di quello».
Quanti visitatori avete?
«Dall’apertura abbiamo avuto 100 mila visitatori da tutto il mondo; dagli Stati Uniti, dall’Europa, da Israele e dall’Australia».
Organizzate degli eventi?
«Sì, eventi speciali in un grande spazio che abbiamo ricavato al centro della libreria, e d’estate c’è il giardino».
Cosa fate?
«Incontri con personalità del mondo ebraico e con intellettuali che si occupano dell’ebraismo italiano, e siamo molto onorati di avere avuto tra noi il regista israeliano Amos Gitai, che ha annunciato il suo nuovo film, basato sulla figura di una donna d’affari ebrea del 16° secolo, Doña Gracia Mendes-Nasi, che visse anche a Ferrara. A giugno, in occasione del festival del libro ebraico arriverà A. B. Yehoshua».
Il museo fa qualcosa per combattere il risveglio dell’antisemitismo in Europa e in altri Paesi?
«Come sappiamo, il pregiudizio nasce dall’ignoranza e noi vogliamo appunto diffondere una conoscenza corretta del mondo ebraico».
Le piace il suo lavoro?
«Credo sia un privilegio avere l’opportunità di dar vita a un nuovo museo e creare un centro per il dialogo e la convivenza».
Come si è formata la collezione?
«Grazie a donazioni di privati, ma soprattutto grazie a prestiti da altri musei italiani».
Pensa che la vita degli ebrei in Italia sia abbastanza nota e studiata?
«Potrebbe certo essere più diffusa, in tutto il mondo, perché è un caso unico, una storia di convivenza tra una minoranza e una maggioranza per un lungo periodo storico».
Ma non ci sono molti ebrei italiani?
«Non sono mai stati più di 50 mila, ma sono e sono stati molto importanti per la storia e la cultura italiane e il nostro museo è qui per raccontare questo a tutto il mondo».
(Alain Elkan, LA STAMPA 22 aprile 2018)