“Parlare dell’unione dell’Europa rappresenta di per sé, oggi, una sfida”. Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha iniziato il suo intervento alla Badia Fiesolana per l’inaugurazione dell’edizione 2018 di “The State of the Union”, tradizionale appuntamento annuale organizzato dall’Istituto Universitario Europeo, quest’anno dedicato al tema “Solidarietà in Europa”.
Fra gli altri ospiti della conferenza, il Presidente d’Irlanda Michael Higgins, il Presidente della Repubblica Ellenica Prokopios Pavlopoulos, e il Presidente della Repubblica Portoghese Marcelo Rebelo de Sousa.
“Nel turbamento del mondo, quanto apparirebbe necessario il ruolo di equilibrio svolto da un concerto di 27 Paesi, tanto si mostra ampio il divario tra l’essere e il dover essere di un’ampia comunità che trova la sua dimensione in uno spazio già condiviso. Mai, dunque, come oggi appare urgente “unire””, ha osservato il Capo dello Stato, prima di rilevar come mai come in questi tempi “tanta parte dell’opinione pubblica del continente appare percorsa da sentimenti di disillusione, immemore del significato e dei risultati di un cammino prezioso e positivo, diretto a un traguardo che ha animato gli spiriti della gioventù formatasi nel ‘900. Questa mancanza di consapevolezza si colloca al di fuori della visione della storia”.
Ricordato l’orgoglio italiano nell’ospitare l’Istituto Universitario Europeo, Mattarella si è soffermato sul “processo di integrazione continentale” avviato con la dichiarazione di Schuman, una “radice che rimane viva e forte”, a distanza di 68 anni: “L’Europa non si farà di colpo” egli scrisse “né con una costruzione d’insieme: essa si farà attraverso realizzazioni concrete, creando prima di tutto una solidarietà di fatto”.
“La forza di queste parole attraversa la storia degli ultimi settant’anni per giungere sino a noi. Per dirci come già nell’atto di nascita dell’Unione fosse centrale questa consegna”, ha commentato il Presidente. “Una solidarietà non astratta, affidata alla aridità delle parole di un Trattato, ma sostanza attiva dell’intero processo che si stava coraggiosamente intraprendendo. Se è stata la solidarietà a rendere possibile l’avvio della nostra unione, non è senza significato tornare a quel legame – quasi primordiale – per affrontare i problemi odierni. Lo è a maggior ragione in un contesto che vede crisi interne e internazionali, instabilità diffuse e venti di guerra, scuotere l’edificio europeo, rendendo esitante ogni ulteriore passo verso l’integrazione maggiore”.
“La operosa solidarietà degli esordi sembra, infatti, essersi trasformata in una stagnante indifferenza, in una sfiducia diffusasi, pervasivamente, a tutti i livelli, portando opinioni pubbliche, Governi, Istituzioni comuni, a diffidare, in misura crescente, l’uno dell’altro”, ha stigmatizzato Mattarella, secondo cui non si può “ignorare questo stato di fatto, né sottacere quanto sia diffusa, fra i cittadini europei, la convinzione che il progetto comune abbia perso la sua capacità di poter realmente venire incontro alle aspettative crescenti di larghi strati della popolazione; e che non riesca più ad assicurare adeguatamente protezione, sicurezza, lavoro, crescita per i singoli e le comunità”.
Numerosi concittadini europei hanno smesso di pensare che l’Europa possa risolvere – nell’immediato o in prospettiva – i loro problemi”, ha aggiunto il Presidente. “Vedono sempre meno nelle istituzioni di Bruxelles un interlocutore vantaggioso, rifugiandosi in un orizzonte puramente domestico, nutrito di una illusione: pensare che i fenomeni globali che più colpiscono possano essere affrontati al livello nazionale. Una situazione paradossale, se pensiamo che oltre tre successive generazioni non hanno conosciuto, grazie all’integrazione, il dramma della guerra, che ha lambito e lambisce i confini dell’Unione. Basti pensare ai Balcani pochi anni addietro, alla crisi ucraina, ai conflitti nella regione del Nord Africa e del Medio Oriente”.
“Tutti sanno che nessuna delle grandi sfide, alle quali il nostro continente è oggi esposto, può essere affrontata da un qualunque Paese membro dell’Unione, preso singolarmente, quale che sia la sua dimensione”, così come è ovvio che “la sicurezza e il progresso di qualsiasi società si basano sul principio della mutualità tra i suoi membri”. Dunque, ha argomentato Mattarella, “è questo il senso della solidarietà: sapere di poter contare, quando non bastano le proprie forze, sull’aiuto del vicino”.
Di fronte alle migrazioni, ad esempio, “pensare di farcela da soli è pura illusione o, peggio, inganno consapevole delle opinioni pubbliche”.
I fondatori dell’Ue “furono uniti dalla solidarietà che proveniva da un compito comune: rifondare le loro comunità travolte dagli orrori della guerra nazi-fascista”, ha ricordato Mattarella. “Un compito che aveva bisogno di ben poche spiegazioni. L’Europa doveva ritrovare il proprio percorso dopo la stagione buia delle dittature. Due guerre devastanti e milioni di morti avevano reso chiarissima, a ogni singolo cittadino, l’esigenza di affidare la difesa della pace e della stessa libertà individuale e collettiva alla scelta di mettere in comune il futuro degli europei, con un livello di garanzia superiore rispetto a quello offerto dai singoli Paesi”.
C’era, allora, “una solidarietà che voleva lasciarsi definitivamente alle spalle la matematica dei torti e delle ragioni di due devastanti guerre mondiali”; oggi “siamo giunti a un punto cruciale nel percorso di integrazione, quello nel quale i diritti di cittadinanza espressi sin qui nelle sovranità individuali degli Stati, si trasfondono sempre più in quella collettiva dell’Unione, fondendosi in un unicum irreversibile”.
Oggi, “più sicuri che nel dopoguerra, più liberi che nel dopoguerra, più benestanti che nel dopoguerra, rischiamo di apparire privi di determinazione rispetto alle sfide che dobbiamo affrontare. E qualcuno – ha stigmatizzato Mattarella – di fronte a un cammino che è divenuto gravoso, cede alla tentazione di cercare in formule ottocentesche la soluzione ai problemi degli anni 2000”.
Quindi, la domanda è “cosa abbiamo trascurato? Perché lo slancio sembra essersi esaurito? Perché il concetto stesso di solidarietà viene così facilmente ripudiato nei fatti, spesso da coloro che sono i primi a fruire e ad avere fruito della solidarietà degli altri?”. Secondo il Capo dello stato “forse non ci rendiamo conto a sufficienza di come gli “altri”, gli “extra-europei”, a differenza di alcuni fra noi, ci vedano e percepiscano in modo crescente come Europa e non più come singole realtà distinte. Forse stiamo dimenticando che l’Europa e la sua civiltà, nella loro ricchezza, sono irriducibili alla dimensione di un solo Paese o gruppo di Paesi. È mancata una capacità di autocoscienza, nonostante il prezioso lavoro compiuto” e poi “abbiamo dato per scontato – con colpevole superficialità – che le nuove generazioni, le nuove classi dirigenti, potessero continuare a percepire con la medesima forza – mentre i ricordi dei tremendi lutti del passato si affievolivano nella memoria collettiva – la qualità del “modello europeo” e del ruolo centrale che, in esso, assume la solidarietà”.
Forse “non abbiamo chiaro a sufficienza che tutto ciò che abbiamo costruito, i progressi che con fatica e pazienza abbiamo conseguito in questi anni, trovano una loro sistemazione logica e coerente unicamente nell’essere inseriti nel nostro comune modello di società”. Una società “basata sulla reciproca garanzia prestata a un’area in cui si afferma lo Stato di diritto e tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Una società pacifica, libera, aperta e rispettosa, che vuole agire in un sistema di relazioni internazionali fondato sul dialogo con tutti i principali attori internazionali”.
Quindi l’Europa deve “saper governare i problemi dell’oggi con la forza delle proprie radici e gli ideali della sua storia” e “questa è una responsabilità centrale per le leadership politiche di tutti i Paesi europei”. 
Istituzioni europee e Stati membri “dovrebbero dedicare ben maggiore impegno a un’opera di capillare e duratura istruzione sulle “ragioni profonde” dell’Europa” a cominciare dalle scuole per far “riscoprire l’Europa” come “un grande disegno” per rimediare anche ad un altro errore: aver “posto enfasi agli aspetti esclusivamente economici dell’integrazione”.
“Il Manifesto di Ventotene, – ha sostenuto Mattarella – punto di riferimento culturale da non dimenticare, continua a ricordarci, come l’economia debba essere parte di una visione politica del percorso di integrazione”. Anche “la gestione della moneta comune, cos’è se non l’espressione di una forte solidarietà tra i Paesi dell’Eurozona, esempio concreto per tutti gli altri?”, si è chiesto Mattarella. “È quella solidarietà a cerchi concentrici che non lascia indietro mai nessuno, bensì tiene la porta aperta, rispettando, insieme, l’ambizione di coloro che vogliono progredire e il ritmo di coloro che ancora non si ritengono pronti per scelte più stringenti”.
“La sofisticata architettura europea ha bisogno di un’opera di continua e attenta manutenzione, per preservare Istituzioni solide, pervase dello spirito solidaristico che animava i padri fondatori e consapevoli delle prove che abbiamo di fronte”, ha affermato il Capo dello Stato. “Assistiamo a crisi che si approssimano sempre più ai nostri confini”, dunque occorre “allargare l’area di stabilità e di condivisione dei nostri principi”.
“La solidarietà sul piano della sicurezza, l’integrazione militare, non possono essere disgiunti da obiettivi di solidarietà civile e politica”, ha ammonito il Capo dello Stato, auspicando che “anche su questo tema sia a Bruxelles sia nei Paesi dell’area possano essere assunte decisioni coraggiose e lungimiranti”.
Questioni “chiave” sono ancora “la riforma del sistema di Dublino e l’Unione bancaria” che “non troveranno soluzione soddisfacente – e rimarranno anzi bloccati – se non risolte all’interno di un quadro di rinnovata solidarietà, nel quale la ricomposizione di sovranità al livello europeo sia percepita come un’ovvia necessità, parte di un disegno generale, i cui benefici complessivi saranno alla fine, e per tutti, maggiori. È la logica “win win” che deve prevalere su quella dei vincitori e dei vinti sui singoli dossier dell’Unione: quest’ultima non può far parte del patrimonio ideale dell’Unione. Infine, ci troveremo ad affrontare l’esercizio del bilancio comune: un tema che, ci porterà a toccare con mano, quasi a misurare, il livello di ambizione dell’Unione nei prossimi sette anni. Noi auspichiamo vivamente che il bilancio comune possa espandersi, nonostante la Brexit, grazie anche ad ulteriori risorse proprie”.
Per Mattarella “vanno individuati e posti al centro delle politiche i “beni pubblici europei”, da tutelare e sviluppare: quali la sicurezza interna ed esterna, la difesa, l’ambiente, una convergenza economica fra Paesi membri che rafforzi l’occupazione, sviluppando, in concreto, il solido “pilastro sociale”, individuato nel vertice di Göteborg. La solidarietà si costruisce con le interconnessioni e l’interdipendenza: reti infrastrutturali e dei trasporti; reti energetiche e di tlc; reti di istruzione, universitarie e di ricerca; reti e programmi di innovazione tecnologica, si pensi a Galileo”. L’Italia “si è sforzata di esprimere su questi temi posizioni equilibrate, inserite in un quadro di rafforzamento dei vincoli di solidarietà fra Paesi membri e di affermazione dei ruoli della Commissione e del Parlamento Europeo, quadro al quale non intendiamo rinunciare”.
Concludendo, Mattarella ha voluto citare Stefan Zweig, “un raffinato scrittore austriaco”, ha spiegato, “che, mentre infuriavano i combattimenti della prima Guerra Mondiale, scriveva: “il grande monumento all’unità spirituale d’Europa è andato in rovina, i costruttori si sono smarriti. Esistono ancora i suoi merli, ancora si ergono sopra il mondo confuso i suoi codici invisibili, tuttavia, senza uno sforzo comune, manutentore e perseverante, essa cadrà nell’oblio”. Ancora oggi queste parole suonano come un monito. Sta a noi, e solo a noi, raccoglierlo”. 

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