Michael Spence: lavoro, tecnologia, crescita, redistribuzione
Il premio Nobel al Festival dell’Economia di Trento: è necessario sostenere i “perdenti” dell’innovazione tecnologica
Michael Spence, insignito del premio Nobel nel 2001 e professore alla New York University è stato uno dei protagonisti del Festival dell’Economia di Trento, dedicato quest’anno al tema “Tecnologia e lavoro”.
Introdotto dal direttore scientifico del Festival, Tito Boeri, ha voluto subito mettere in risalto il fatto che le economie sviluppate si trovino ad affrontare cambiamenti strutturali significativi. “Alcune professioni beneficeranno dell’evoluzione della tecnologia e del digitale, altre meno” – ha sottolineato. Ma dove si devono investire soprattutto le risorse per la ricerca? “Negli Usa ad esempio investiamo molto nelle biotecnologie. Forse per questa strada la produttività non cresce molto, ma cresce in compenso la salute. La società non può porsi un solo obiettivo”. In quanto all’Italia, la crescita nominale non è ancora abbastanza alta. “La crescita è importante – ha ribadito l’economista americano. Se in una società c’è un problema di distribuzione della ricchezza è più facile risolverlo in presenza di crescita. Altrimenti la redistribuzione è un gioco a somma zero e si avranno maggiori resistenze da parte delle classi più elevate”.
Spence ha citato John Fitgerald Kennedy ricordando il suo appello in favore della redistribuzione, necessaria al fine di sostenere i “perdenti” dell’innovazione tecnologica. “Oggi – ha chiosato Boeri – il mondo è meno iniquo rispetto al passato, ma le diseguaglianze in seno ai singoli paesi sono cresciute”.
“Se ci preoccupiamo all’80% della popolazione mondiale – ha ripreso Spence – il tema della convergenza è fondamentale. Esso è riconducibile al successo di economie molto grandi, come quella cinese. In molti paesi però non si è ancora capito come affrontare il tema della riduzione delle diseguaglianze. I paesi del Nord Europa sono un’eccezione. Ci vorranno più spinte di livello politico per migliorare la situazione. In molte realtà il progresso tecnologico è destinato a portare certamente più benessere. Ma nei paesi più poveri la tecnologia non è detto che avrà un ruolo inclusivo. Oggi peraltro nel mondo la connessione è cresciuta ovunque, grazie agli smartphone”.
Le tecnologie digitali, con la loro pervasività, aiutano la delocalizzazione e la circolazione dei beni. In vari settori i concorrenti più importanti però si sono collocati in luoghi relativamente vicini, dove si concentra l’innovazione. Quelli sono i luoghi “veri” dello sviluppo. Non sono nemmeno paesi, sono luoghi geografici. Al tempo stesso i lavoratori, ad esempio nel settore dei servizi, potranno svolgere le loro mansioni un po’ ovunque. Riguardo alle opportunità generate dalla circolazione dei dati digitali, per Spence è necessaria una maggiore regolamentazione, che però non sarà uguale per tutti i paesi, eccetto forse per l’Europa, che si è data delle normative sovranazionali ad esempio per la gestione dei big data. “Altrove sarà però molto difficile perché le realtà che operano in Cina o negli Usa, fortemente connesse con le problematiche della privacy o della sicurezza, non possono essere gestite a livello sovranazionale”. Spence ha anche spezzato una lancia in favore della fiducia, fattore fondamentale per far sì che tutti gli attori del sistema facciano la loro parte.
E l’Italia? “Per la prima volta abbiamo un governo anti-establishment eletto democraticamente che potrebbe causare uno scontro con l’Europa. I timori degli italiani – lavoro, distribuzione, immigrazione – sono legittimi. Molte persone in America dicono che, a prescindere dalle caratteristiche idiosincrasiche di Trump, alle élite non interessa nulla dei problemi del cittadini medio, quindi ben venga un presidente eletto che lo fa. Io sono un esterno, ma personalmente sono ottimista. Penso che in Italia ci sono molti beni intangibili, capitale umano, talenti, creatività, che possono fungere da motore per lo sviluppo. Nella Silicon Valley è cresciuto negli anni un sistema reso possibile dalla digitalizzazione che consente ai talenti e alle novità di emergere. Bisogna costruire ecosistemi così, che consentano alle idee e alle competenze di dialogare fra loro e di evolvere. Oggi le megapiattaforme di dati sono in America e in Cina. Hanno moltissimi dati e li usano per migliorare tutti i servizi forniti dalla rete. Pongono anche grossi problemi di monopolio. Abbiamo bisogno di una collaborazione pubblico-privato che crei queste capacità anche in Europa”.
In chiusura di questa edizione del Festival Tito Boeri ha ricordato gli oltre 100 eventi che hanno animato questa tredicesima edizione, ma anche i dati riguardanti gli accessi da remoto: ieri si era a più di 5 milioni di visite, con una crescita degli accessi alle dirette streaming. Questa volta i tempi di formazione del nuovo governo sono stati tali da non consentire di invitare molti politici, ma “noi pensiamo che il Festival sia utile per i politici anche perché li consente di ascoltare e seguire i dibattiti, non solo per presentare la loro visione delle cose. io stesso ho imparato molto da questa edizione del festival: spero che sia stato così per tutti coloro che ci hanno seguito”.
(com.unica, 4 giugno 2018)