Il commento di Sofia Ventura (da La Stampa)

Oggi Simone Veil, scomparsa il 30 giugno 2017, entrerà tra i grandi di Francia al Pantheon, nel cuore di Parigi. Amatissima in Francia, Veil ha rappresentato, con la propria esperienza esistenziale e il suo impegno intellettuale e politico, il simbolo dell’identità europea, tragica e colma di speranza, plurale e fondata sul valore dei diritti della persona.

L’altra vita Ebrea, ancora adolescente attraversò il buco nero di Auschwitz. Ma a lungo quell’altra vita, come lei stessa l’aveva definita, non fu resa pubblica. Lo divenne quando, già ministro della Salute, negli anni Settanta, a chi osservava come fosse abile nel maneggiare la cazzuola – stava ponendo la prima pietra di un edificio – rispose: «Ho già fatto una cosa del genere, sa? Quando ero deportata, era il mio mestiere». «Ah», fu la risposta. Allora, in Francia come altrove, non si parlava della Shoah. Fu uno choc. Il suo feretro, insieme a quello del marito, prima di essere inumato al Pantheon, è stato esposto nella cripta del Memoriale della Shoah.

La Shoah, della quale, dopo il lungo silenzio, decise di diffondere la conoscenza e radicare la memoria. A quella spaventosa esperienza, Simone Veil, seppe rispondere con un’energica e davvero inesauribile voglia di vivere e anche con la volontà di fare qualcosa di utile nel mondo. Da ministro della Salute, nel 1974, con il sostegno del presidente Giscard d’Estaing e l’ostilità di buona parte della stessa maggioranza, presentò e sostenne, sino all’approvazione e nonostante i violentissimi attacchi che subì, il progetto di legge per la legalizzazione dell’aborto volontario, un diritto sostenuto in nome dell’empatia per la sofferenza delle donne: «Vorrei farvi condividere una mia convinzione di donna. Mi scuso se lo faccio davanti a questa Assemblea (l’Assemblea Nazionale) quasi esclusivamente composta da uomini: nessuna donna ricorre all’aborto a cuor leggero. È sufficiente ascoltare le donne».

Simone Veil, che aveva vissuto le conseguenze dell’odio tra europei e della deriva verso la perdizione delle masse e l’irrazionalismo eretto a orizzonte politico, credeva nell’Europa. Divenuta Presidente del Parlamento europeo nel 1979, le prime elezioni a suffragio diretto, nel suo discorso di esordio ricordò che i beni preziosi che l’Europa aveva portato, la pace, la libertà, il benessere erano tanto eccezionali quanto fragili e il Parlamento per continuare a garantirli avrebbe dovuto rifuggire «ogni spirito di demagogia e irrealismo». E incoraggiare la cooperazione, perché soltanto l’Europa unita avrebbe potuto efficacemente tutelarli. Parole che oggi, mentre la memoria storica si affievolisce sempre di più, insieme alla consapevolezza che, pur nelle difficoltà, l’Europa rimane un’isola (come Veil stessa la definì) di benessere e diritti, echeggiano come un monito di fronte agli egoismi nazionali e alla irresponsabile mobilitazione degli odi e delle facili soluzioni e illusioni.

Sofia Ventura, La Stampa 2 luglio 2018

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