Quel che gli europei proprio non capiscono di Israele e del Medio Oriente
L’analisi del politologo israeliano Efraim Inbar per il Jerusalem Post
Molti, israeliani e no, lamentano gli insuccessi della diplomazia pubblica d’Israele nel cercare di spiegare all’estero le ragioni del paese” scrive Efraim Inbar, politologo israeliano molto vicino al premier Benjamin Netanyahu. “Come può essere così difficile spiegare ciò che la maggior parte degli israeliani considera un comportamento perfettamente normale per uno stato che si batte da sempre contro il terrorismo e un odio profondissimo? Eppure è così: non è facile spiegare in Europa le ragioni di Israele. Vi sono diversi motivi. Innanzitutto esiste un radicato fondo di antisemitismo a vari i livelli nella società europea. L’Europa non è mai stata un ospite benevolo verso gli ebrei, che per molti secoli vi hanno subito pregiudizi, discriminazioni, pogrom, espulsioni e infine il peggio di tutto: il genocidio. Va inoltre considerato il fatto che, man mano che la memoria diretta della Shoah si va allontanando, il tradizionale antisemitismo, che spesso e volentieri si esprime e si mescola con atteggiamenti visceralmente anti-israeliani, non risulta più politicamente scorretto. In un’Europa che purtroppo non si è mai del tutto liberata dalla malattia antisemita, l’immigrazione musulmana non ha fatto che aggiungere un altro strato di virulento antisemitismo.
Oggi un ebreo che indossa la kippà o una catenina con la Stella di David non è al sicuro nelle strade di molte città dell’Europa occidentale, e dovrebbe suscitare indignazione il fatto che da decenni tutte le istituzioni ebraiche (comprese le scuole) devono essere sorvegliate giorno e notte dalle forze di sicurezza locali. Un altro fatto che mette Israele in una luce sfavorevole agli occhi di molti europei è la percezione (corretta) di Israele come di un grande alleato degli Stati Uniti. E questo, mentre negli ultimi anni la distanza tra Europa e Stati Uniti si va gradualmente ampliando. La cultura strategica degli Stati Uniti è molto diversa da quella europea e molto più vicina al pensiero strategico israeliano, cosa che inevitabilmente getta cattiva luce su Israele. Esiste poi il senso di colpa degli europei per il loro passato coloniale, che mette Israele in svantaggio dal momento che il prisma coloniale viene (scorrettamente) applicato al conflitto israelo-palestinese. Considerare gli israeliani come coloni europei che hanno scalzato i nativi arabo-palestinesi significa ignorare gli antichissimi e ininterrotti legami storici e culturali degli ebrei con la loro madrepatria (nonché il carattere imperialista delle ideologie panaraba e panislamica, e il carattere anti-coloniale della lotta d’indipendenza anti-britannica dei sionisti). Significa anche promuovere un atteggiamento di gratuita giustificazione verso entità palestinesi corrotte e dittatoriali (come l’Autorità palestinese e il controllo di Hamas su Gaza) e la loro sistematica violazione dei diritti umani. Ma soprattutto, gli europei fanno fatica a capire la spietata realtà del medio oriente, che vive in un’èra storica diversa. A differenza della pacifica Europa, il medio oriente è una regione dominata dai conflitti. In medio oriente, stati e organizzazioni fanno la guerra per conseguire obiettivi politici. L’uso della forza è parte integrante delle regole del gioco e degli strumenti a disposizione di capipopolo e capi di stato. Mentre in Europa, in particolare nella sua parte occidentale, il ricorso alla forza è visto come primitivo e anacronistico, in questa parte del mondo l’uso delle armi è considerato normale e persino popolare. Saddam Hussein venne osannato come l’eroe del mondo arabo quando conquistò con la forza il Kuwait.
L’intervento militare di Ankara in Siria è acclamato dalle masse turche; la sanguinosa guerra di Riad nello Yemen non suscita la minima critica in patria. E’difficile immaginare oggi un’azione militare europea che non sia accompagnata all’interno da critiche, accuse e manifestazioni contro la guerra. Dato questo contesto, va da sé che i sempre elevati livelli di percezione della minaccia negli stati e nelle società del medio oriente non vengono mai capiti appieno dagli europei, che da tempo pensano di vivere in una sorta di paradiso strategico. Gli europei non sono disposti a spendere molti soldi per la difesa, approfittando da decenni dell’ombrello militare americano. Al contrario, gli stati mediorientali devolvono grandi fette del loro pil alle esigenze della sicurezza nazionale. E vivono tutti nel costante sospetto e timore per le intenzioni dei loro vicini. Gli stati dell’Unione europea non devono fare i conti con una continua sfida alla legittimità delle loro frontiere o della loro stessa esistenza. Viceversa, sono molte le dispute di confine che travagliano gli stati del medio oriente, come quelle tra Siria e Turchia, o fra Iran e Iraq. Inoltre l’ideologia del panarabismo, che minava alla radice la legittimità dei governanti arabi e delle loro strutture statali, è stato in gran parte rimpiazzata da un’altra ideologia transnazionale, il panislamismo, con ripercussioni simili se non peggiori. Entrambi sono movimenti transnazionali (imperiali) che tendono a ricorrere alla violenza. Anche la religione è un fattore politico poco compreso in un’Europa per lo più laica.
L’influenza intellettuale di Max Weber e Karl Marx ha creato una cecità nei confronti del comportamento religioso. In medio oriente, la maggior parte delle persone sono in qualche misura religiose, e la loro identità è fortemente modellata da testi sacri. Vale per gli arabi, i turchi, i persiani e gli ebrei. In contrasto con l’Europa post Riforma, la separazione tra religione e stato è un concetto estraneo in questa parte del mondo. L’enorme potere delle convinzioni religiose nel motivare le persone all’azione e la loro disponibilità a sopportare grandi sofferenze è pressoché incomprensibile per l’europeo medio. Il medio oriente è il focolaio dell’estremismo religioso, e gli europei sono molto mal equipaggiati per capire i fanatici dello stato islamico. Naturalmente esistono isole di sostegno alle ragioni di Israele anche nel Vecchio continente, ma innegabilmente vivere nell’Europa di oggi non predispone a comprendere la realtà del medio oriente. Ecco perché la diffusa incomprensione per il punto di vista degli israeliani, per le loro scelte politiche e per il loro ricorso alla forza quando necessario, non può essere corretta da maggiori sforzi di diplomazia pubblica. Gli atteggiamenti così spesso faziosi e prevenuti degli europei sono il risultato di un pesante bagaglio culturale e di un insieme di orientamenti totalmente differenti in fatto di politica estera e di difesa”.
(Il Foglio/Jerusalem Post 24 luglio 2018)