L’analisi del premio Nobel per l’Economia Stiglitz: la strategia di Trump ci porterà a un mondo più incerto, meno sicuro dello stato di diritto internazionale e con confini più difficili. 

NEW YORK – Quella che inizialmente era una schermaglia commerciale – con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che imponeva dazi su acciaio e alluminio – sembra essersi rapidamente trasformata in una guerra commerciale su vasta scala con la Cina. Se reggerà la tregua concordata tra Europa e Stati Uniti, gli USA lotteranno principalmente contro la Cina, invece che contro tutto il mondo.

Al di là della vera, ma ormai banale, affermazione che tutti ci rimetteranno, cosa si può dire dei possibili esiti della guerra commerciale di Trump? In primo luogo, l’economia prevale sempre: se gli investimenti interni degli Stati Uniti continuassero a superare i risparmi, il paese dovrebbe importare capitali e registrare quindi un grosso deficit commerciale. Peggio ancora, a causa dei tagli alle tasse emanati alla fine dello scorso anno, il deficit fiscale americano sta raggiungendo nuovi record – secondo proiezioni recenti è destinato a superare 1 trilione di dollari entro il 2020 – il che significa che il deficit aumenterà quasi sicuramente, qualunque sia l’esito della guerra commerciale. L’unico modo perché ciò non accada è che Trump porti gli Stati Uniti in recessione, con un declino dei redditi così pesante da comportare il crollo di investimenti e importazioni.

L’esito “migliore” della ristretta mentalità di Trump focalizzata sul deficit commerciale con la Cina sarebbe il miglioramento del saldo bilaterale, accompagnato da un aumento di pari importo nel deficit con qualche altro paese (o paesi). Gli Stati Uniti potrebbero vendere più gas naturale alla Cina e acquistare meno lavatrici; ma venderanno meno gas naturale ad altri paesi e acquisteranno lavatrici o qualcos’altro dalla Thailandia o da altri paesi che hanno scansato l’irascibile furia di Trump. Ma, poiché gli Stati Uniti hanno interferito con il mercato, dovranno pagare di più per le importazioni ed ottenere di meno per le esportazioni rispetto a quanto avveniva in precedenza. In breve, il risultato migliore prospetta che gli Stati Uniti staranno peggio di quanto stiano oggi.

Gli Stati Uniti hanno un problema, ma non è con la Cina. È in casa: l’America ha risparmiato troppo poco. Trump, come tanti suoi compatrioti, è immensamente miope. Se avesse avuto un minimo di conoscenza di economia ed una visione a lungo termine, avrebbe fatto il possibile per aumentare i risparmi nazionali. Ciò avrebbe ridotto il deficit commerciale multilaterale.

Ci sono rimedi rapidi ovvi: la Cina potrebbe comprare più petrolio americano e poi venderlo ad altri paesi. Ciò non farebbe alcuna differenza, al di là forse di un leggero aumento dei costi di transazione. Ma Trump potrebbe strombazzare di aver eliminato il deficit commerciale bilaterale.

In effetti, la riduzione significativa del deficit commerciale bilaterale in modo sensato si rivelerà problematica. Con la diminuzione della domanda di beni cinesi, il tasso di cambio del renminbi si indebolirà, anche senza alcun intervento del governo. Ciò compenserà parzialmente l’effetto delle tariffe statunitensi; allo stesso tempo, aumenterà la competitività della Cina con altri paesi, e questo sarà vero anche se il paese non usasse altri strumenti in suo possesso, come i controlli su salari e prezzi, o spingesse fortemente per aumentare la produttività. Il saldo commerciale complessivo della Cina, come quello statunitense, è determinato dalla sua macroeconomia.

Se la Cina intervenisse più attivamente e reagisse in modo più aggressivo, il cambio della bilancia commerciale tra Stati Uniti e Cina potrebbe essere ancora più ridotto. La relativa sofferenza che ciascuno infliggerà all’altro è difficile da accertare. La Cina ha maggior controllo sulla propria economia ed ha voluto spostarsi verso un modello di crescita basato sulla domanda interna invece che su investimenti ed esportazioni. Gli Stati Uniti stanno semplicemente aiutando la Cina a fare ciò che sta già cercando di fare. D’altro canto, le azioni degli Stati Uniti arrivano in un momento in cui la Cina sta cercando di gestire l’eccesso di leva finanziaria e di capacità; almeno in alcuni settori, gli Stati Uniti renderanno questi compiti ancora più difficili.

Una cosa è chiara: se l’obiettivo di Trump è quello di impedire alla Cina di perseguire la sua politica “Made in China 2025” – adottata nel 2015 per promuovere il suo obiettivo di restringere in 40 anni il divario di reddito tra Cina e paesi avanzati – egli quasi certamente fallirà. Al contrario, le azioni di Trump non faranno altro che rafforzare la determinazione dei leader cinesi di promuovere l’innovazione e raggiungere la supremazia tecnologica, poiché si rendono conto che non possono fare affidamento sugli altri e che gli Stati Uniti sono attivamente ostili.

Se un paese entra in una guerra, commerciale o meno, dovrebbe essere sicuro che al comando ci siano validi generali – con obiettivi chiaramente definiti, una strategia praticabile ed il sostegno popolare. È qui che le differenze tra Cina e Stati Uniti sembrano estremamente grandi. Nessun paese potrebbe avere un team di esperti di economia più squalificato di quello di Trump, e la maggioranza degli Americani non condivide la guerra commerciale.

Il sostegno dell’opinione pubblica si attenuerà ulteriormente quando gli Americani si renderanno conto di perdere questa guerra doppiamente: andranno persi posti di lavoro, non solo a causa delle misure di rappresaglia da parte della Cina, ma anche perché i dazi USA fanno innalzare i prezzi delle esportazioni statunitensi rendendole meno competitive; ed aumenteranno i prezzi dei beni che essi acquistano. Ciò potrebbe forzare la caduta del tasso di cambio del dollaro, aumentando ulteriormente l’inflazione negli Stati Uniti – dando luogo ad un’opposizione ancora maggiore. È probabile quindi che la Fed aumenti i tassi di interesse, con il conseguente indebolimento di investimenti e crescita ed aumento di disoccupazione.

Trump ha mostrato il modo in cui reagisce quando le sue bugie sono smascherate o le sue politiche falliscono: rilancia. La Cina ha ripetutamente offerto a Trump diverse vie d’uscita dal campo di battaglia, anche salvando la faccia e dichiarando vittoria. Ma egli si rifiuta di intraprenderle. Forse si può riporre speranza in altri tre dei suoi tratti peculiari: la sua attenzione all’apparenza rispetto alla sostanza, la sua imprevedibilità ed il suo amore per la politica del “grande uomo”. Forse in un meeting grandioso con il presidente Xi Jinping, egli potrebbe dichiarare risolto il problema, con alcuni adeguamenti minori qui e lì delle tariffe, e qualche nuovo gesto verso l’apertura del mercato che la Cina aveva già pianificato di annunciare, e tutti potrebbero andare a casa felici.

In questo scenario, Trump “risolverebbe”, imperfettamente, un problema da lui creato. Ma il mondo dopo la sua folle guerra commerciale sarà comunque diverso: più incerto, meno sicuro dello stato di diritto internazionale e con confini più difficili. Trump ha cambiato il mondo, definitivamente, in peggio. Anche con i migliori risultati possibili, l’unico vincitore è Trump – con il suo ego smisurato gonfiato ulteriormente.

Joseph E. Stiglitz, project-syndicate 30 luglio 2018

*Premio Nobel per l’Economia nel 2001, insegna Politica Economica alla Columbia University ed è capo economista presso il Roosevelt Institute.

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